Dalla strada del Rosatellum, la possibile nuova legge elettorale per camera e senato il cui testo è atteso oggi in commissione, spariscono due ostacoli. Non c’è più la rigida contrarietà di Forza Italia a qualsiasi proposta non sia proporzionale pura. Almeno in questa fase Berlusconi decide di andare a vedere, far partire il discorso. L’aveva già deciso nei due precedenti tentativi andati a vuoto. E non c’è più la minaccia dei sudtirolesi di rompere con la maggioranza, pericolosa non solo e non tanto per il governo Gentiloni quanto in vista dell’indispensabile prossima alleanza elettorale. In Trentino Alto Adige Svp-Pd conserveranno i seggi blindati con l’uninominale, non più la quasi totalità ma comunque la maggior parte. La giornata di trattative consegna ai mediatori renziani la netta contrarietà solo di grillini e bersaniani, mentre anche Sinistra italiana pur mantenendo l’opzione per un sistema proporzionale, apprezza la riduzione dei collegi uninominali e soprattutto l’abbassamento della soglia di sbarramento al 3% anche al senato.

LA LEGGE ha alcuni punti fermi e altri ancora da precisare. Tra i primi, alla camera, i 231 collegi uninominali più quello della Val d’Aosta e il 386 collegi plurinominali proporzionali più i 12 dell’estero. La stessa percentuale (il 37% di collegi uninominali e il 63% proporzionali) si ripete al senato, il che vuol dire che per palazzo Madama ci saranno collegi molto grandi per la sfida uninominale, in casi limite grandi come l’intera regione. Per il proporzionale invece tornano i listini bloccati del Mattarellum, corti ma non cortissimi: 4 o 5 nomi (dal ’94 al 2001 erano di 4 nomi). Particolare che dà fiato alla polemica degli avversari dei «nominati», in particolare Mdp ma anche Pisapia. Il problema dei collegi però è soprattutto un altro: se i 231 uninominali possono essere copiati e incollati da quelli del senato del ’93 (malgrado siano stati disegnati sulla base di un censimento vecchio di un quarto di secolo), i collegi proporzionali sono tutti da immaginare. A conti fatti dovrebbero essere un’ottantina; aumentandoli fino a cento si potrebbero prendere quelli già previsti per l’Italicum. Altrimenti serve o una delega al governo, con il rischio di allungare tempi già al limite, o l’inserimento della mappa dei collegi nella legge, con il rischio di faticosissime trattative sugli emendamenti.

TRA LE QUESTIONI aperte c’è quella che invece era un caposaldo del primo Rosatellum e del cosiddetto sistema tedesco: la trasferibilità automatica del voto dall’uninominale al proporzionale. Perché la novità è che non si escludono le coalizioni riconoscibili per l’elettore, quelle che in un solo riquadro sulla scheda radunano più simboli. Anzi, con i simboli dei partiti più grandi e più evidenti del nome del candidato nel collegio, e nessun simbolo “di coalizione” per l’uninominale. In modo da scoraggiare l’elettore a segnare solo il nome del candidato.
La spiegazione è semplice, perché se dal simbolo il voto si può trasferire facilmente al candidato, il contrario è impossibile quando c’è una coalizione. E allora sarebbe un voto perso per il proporzionale, che è poi il sistema con il quale si elegge la maggioranza (per i partiti piccoli la totalità) dei parlamentari. A questo problema nel vecchio Rosatellum si poneva rimedio ripetendo più volte il nome del candidato nel collegio accanto a tutti i partiti dell’alleanza, ma così la coalizione si presentava meno riconoscibile.
Il vero rimedio sarebbe quello di tornare alle due schede del Mattarellum originale, una per l’uninominale e un’altra per il proporzionale, o di consentire il voto disgiunto. In questi due casi, però, verrebbe meno l’incentivo al voto utile che per il Pd e Forza Italia è il vero antidoto alla soglia bassa di sbarramento (quella che serve a recuperare Alfano).

UN’ALTRA QUESTIONE aperta è quella della coalizione, che il Mattarellum consentiva variabile a livello circoscrizionale (28 circoscrizioni alla camera, adesso) ma che il Pd vorrebbe unica e nazionale. Per evitare quelle che Bersani già attacca come «geometrie variabili orgasmo per il trasformismo».
La legge comincerà la prossima settimana, dopo il deposito oggi del testo da parte del relatore Fiano, il suo cammino in commissione. Con l’obiettivo di arrivare entro metà ottobre in aula. Renzi così tende a dimostrare buona volontà, ma naturalmente si tiene stretto il punto di caduta, cioè le due attuali leggi differenti per camera e senato. Le posizioni dei partiti sono in evoluzione. Se il no dei 5 Stelle è da considerare irremovibile, il no di Pisapia potrebbe evolvere a seconda che Campo progressista decida di dare prevalenza alla polemica sui nominati o all’orientamento favorevole alle coalizioni. Soprattutto potrebbe cambiare idea Berlusconi, che ieri ha ascoltato solo i consiglieri del nord filo leghisti, che già vedono i loro seggi al riparo grazie all’alleanza per l’uninominale con Salvini. Ma i forzisti del mezzogiorno hanno problemi opposti.
Il discorso vale un po’ per tutti i partiti, dal momento che quest’ultimo tentativo di riforma arriva negli ultimi giorni di legislatura, quando già si fanno i calcoli per la rielezione. Ciascun deputato e ciascun senatore studierà le sue convenienze sulla base delle due alternative: leggi in vigore o nuovo Rosatellum. Alla camera, poi, i voti segreti sono tanto pericolosi da aver già fatto naufragare un testo – «Tedeschellum» – sul quale c’era l’accordo di Pd, M5S, Lega e Forza Italia, due terzi dell’aula. E allora si capisce perché, mentre riparte la giostra in commissione, si moltiplichino le pressioni sul presidente della Repubblica perché si rassegni ad ammettere un decreto elettorale. Per quel poco di «armonizzazione» che sarà possibile fare.