E’ quasi sera quando Berlusconi fa brillare l’esplosivo che distrugge quel che restava del centrodestra, e si vedrà solo col tempo se è un passo senza ritorno o se l’inesauribile fantasia dei politici italiani si inventerà una ricomposizione.
Il leader di Fi dichiara senza mezzi termini di aver «naturalmente condiviso» la decisione dei gruppi parlamentari di affondare la candidatura Foa, bocciata in mattinata dalla Vigilanza con 22 voti invece dei 26 richiesti per raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi della commissione. Ma soprattutto Berlusconi giustizia il sogno dell’ex alleato Salvini: quello di riproporre la stessa candidatura dopo aver convinto il signore di Arcore a concedere domani quel semaforo verde che non aveva concesso ieri. Niente da fare. Berlusconi è tassativo. La riproposizione «presenta secondo il parere di autorevoli professionisti problemi giuridici non superabili. Non potrà quindi essere votata da Fi».

La replica del Carroccio non si fa attendere ed è un de profundis per l’ex centrodestra: «La Lega prende atto che Fi ha scelto il Pd per provare a fermare il cambiamento sulla Rai, sui vitalizi e su altro ancora. Dispiaciuti continuiamo sulla via del cambiamento». E’ uno smacco che il vicepremier non si aspettava. Sapeva che il pollice azzurro sarebbe stato verso. Ma quando ieri mattina si è recato al San Raffaele per incontrare il Cavalier degente era quasi certo di poterlo convincere a ripensarci. Non era solo un miraggio. La verità è che Salvini è andato a un passo dal farcela. Berlusconi, l’uomo «concavo e convesso», contrario alle lacerazioni a meno che non si senta personalmente tradito, era tentato, forse qualcosa in più, dalla pacificazione. In fondo a irritarlo profondamente, più ancora del nome di Foa, era stato lo sgarbo commesso da Salvini non consultandolo. Ferita almeno parzialmente sanata dalla telefonata di martedì notte e poi dalla visita omaggiante di ieri. Licia Ronzulli, quasi un’ombra del capo, era favorevole alla ricomposizione. Salvini aveva molti motivi per essere ottimista e per comunicare le sue rosee aspettative ai soci contraenti a 5 stelle.

A bloccare tutto è stata una vera sollevazione di quasi tutto lo stato maggiore azzurro: Confalonieri e Letta prima di tutti, ma con loro Tajani, la vicepresidente della Camera Mara Carfagna, la presidente dei senatori Bernini. La reazione di Salvini all’affossamento del suo presidente, come al solito esageratamente arrogante. Ha colmato la misura. Non solo il vicepremier confermava «la sua fiducia in Foa» e prometteva di riportare la sua candidatura di fronte alla vigilanza ma alludeva anche molto chiaramente a una divaricazione tra Berlusconi il Conciliante e i suoi riottosi gruppi parlamentari. A quel punto il silenzio di Berlusconi, in continuo contatto telefonico con Tajani, sarebbe suonato come una conferma piena delle parole del leghista. Alla fine il Cavaliere ha preso la parola per decretare l’impossibilità di rimettere in pista Foa.

L’insistenza del leghista ha contrariato gli stessi 5S. L’idea di umiliare il Parlamento ignorando con vera tracotanza il voto della Vigilanza è sembrato un po’ troppo persino a Di Maio. «E’ auspicabile che Foa torni in Vigilanza se ci sarà un’intesa tra le forze politiche, altrimenti le forze politiche devono trovare un’alternativa». Suona come uno stop all’idea, che però la Lega confermava ancora ieri, di far finta di niente delegando a Foa la presidenza del cda, sia pure in veste di «commissario anziano». Una forzatura che porterebbe inevitabilmente a un conflitto istituzionale deflagrante. Anche perché se con le nuove regole il cda può effettivamente procedere alle nomine dei vertici delle reti e dei Tg anche senza presidente, è molto dubbio che un consigliere anziano possa firmare atti ufficiali come ad esempio il bilancio.

Di alternative però non se ne vedono. Ieri il cda si è riunito ma solo per pochi minuti prima di aggiornare la seduta a oggi, nella speranza rivelatasi poi illusoria di un accordo politico. Se Salvini insisterà nel confermare Foa la soluzione dovrà essere scelta all’interno dell’attuale cda e in pista sembrano esserci due nomi soli, Giampaolo Rossi, a cui è contrario lo stesso Salvini perché vorrebbe dire affidare la presidenza al partito di Giorgia Meloni, e Riccardo Laganà, il consigliere eletto dai dipendenti e quindi in un certo senso «al di sopra delle parti». Ma per la Lega anche la sua nomina sarebbe uno scacco, sia perché Laganà non è assimilabile alle posizioni del Carroccio sia perché sarebbe casomai più vicino a quelle dei 5S, che finirebbero quindi per occupare o quasi, oltre alla postazione chiave dell’ad, anche la presidenza.
Stallo totale quindi. A meno che Salvini non si rassegni a far dimettere Foa riportando tutto al punto di partenza.