È l’eterno destino di Forza Italia: la divisione tra falchi e colombe. Il gioco prevede che di volta in volta le parti in commedia possano cambiare. Denis Verdini, che quando si trattava di mollare il governo Letta guidava i duri, stavolta è quello che più di tutti preme sul freno. Brunetta no. Lui è falco fisso. Attacca di mattina, poi passa tutta la giornata a rintuzzare le repliche. E stavolta il suo ultimatum è secco: «O l’Italicum entro Pasqua o salta tutto». Quando la ministra Boschi gli risponde che Pasqua è dietro l’angolo sbotta: «Ineffabili! Lasciano l’Italicum insabbiato per tre settimane e ora dicono che a Pasqua mancano 10 giorni!». Dietro di lui c’è un intero coro pronto a ripetere, rilanciare e amplificare la dichiarazione di guerra.

Come se nulla fosse, nelle stesse ore Verdini tratta con il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini mediazioni centrate su pretese molto più miti. Nessun ultimatum sull’approvazione dell’Italicum. Nessuna richiesta di elettività dei senatori: su quel punto Renzi non può cedere. Ritocchi, solo ritocchi. Come l’eliminazione dei 21 senatori nominati dal capo dello Stato. O come un riequilibrio della rappresentanza della sinistra, da ricercarsi prima di tutto modificando la norma per cui tutte le regioni nominano un numero uguale di senatori. O ancora come un aumento del numero dei componenti del dopolavoro, pardon del Senato modello Renzi, che dovrebbero arrivare a 200. Non sono richieste inaccettabili per l’ex sindaco. Ma neppure quelle messe in campo dal gruppo azzurro al Senato nella riunione della settimana scorsa, chiusa con l’approvazione di un documento che inizia proprio con la rivendicazione dell’elezione a suffragio universale dei componenti del futuro Senato. Ma i duri neppure si accontentano, tanto da mettere in campo una proposta ben più radicale già sottoscritta da 32 firme.

Come in ogni braccio di ferro tra fautori della mediazione e pasdaran della rottura, la scelta, in Fi, spetta a uno solo, all’uomo che attende trepidante la decisione dei magistrati di sorveglianza. Per ora Berlusconi ha diramato una direttiva ambigua: «Alzare i toni ma senza arrivare a rompere». Sul fronte della propaganda l’ex cavaliere ha le idee chiare: bisogna evidenziare che il Pd è diviso ed evitare a ogni costo di apparire come conservatori o come guastatori di professione. Ma sul piano della scelta politica, tanto per cambiare, l’uomo è lacerato e indeciso. Da una parte c’è Denis la Volpe che gli ripete di stare attento: «Non possiamo rompere, altrimenti quelli varano una legge elettorale studiata per distruggerci». Ma dall’altra ci sono quelli che rovesciano come un pedalino l’argomentazione. «Il sostegno a Monti e Letta e ora l’accordo con Renzi – dice Minzolini – lo abbiamo sempre pagato caro in termini di consenso. Se continuiamo a pagare quel prezzo, l’Italicum avvantaggerà Grillo non noi». I sondaggi non lo smentiscono.

Re Silvio aspetta la sua sentenza. Ieri l’assistente sociale ha visitato la regale dimora, per farsi un’idea della situazione ambientale. Corre incontrollabile voce che il responso sarà benevolo, senza domiciliari e senza servizi sociali umilianti. Ma sulle limitazioni alla sua attività soprattutto politica nessuno azzarda previsioni, e la partita si gioca essenzialmente su quelle. Se le maglie saranno larghe, i mediatori ne trarranno incontestabile vantaggio. Se sarà un bavaglio, invece, non sarà facile stemperare l’ira del condannato. In quel caso gli stessi “verdiniani” si troverebbero in grande imbarazzo. Tanto più che per lo stesso Verdini sta per scoccare l’ora della verità. In settimana il Senato dovrebbe votare sull’uso delle intercettazioni del forzista, coinvolto nell’inchiesta P3.