«Io non farò l’avvocato di me stesso ma degli italiani». Silvio Berlusconi la mette così, rivolto ai ministri riuniti a consesso (con tanto di Gianni Letta, ma senza la supercolomba Quagliariello) prima del pediluvio di folla, altro che bagno, che saluterà poco dopo la rinascita di Forza Italia. Traduzione concreta: voi restate pure al vostro posto, ma solo per potervene andare col massimo clamore al primo aumento di tasse. La vita del governo Letta è appesa a quel punto di aumento dell’Iva di cui i ministri dovranno discutere proprio oggi, varando il Def. Ma non c’è solo l’Iva. Per una volta Berlusconi è stato più chiaro che mai: «Dovete tenere il punto su tutta la politica fiscale, anche sull’Imu. Non esiste che si tolga l’Imu e poi la si rimetta di nascosto nella Service Tax». In pubblico il capo ha ricordato che di «suoi» ministri in questo esecutivo ce ne sono solo 13. In privato è stato più brutale: io ne ho scelto solo uno, Angelino Alfano. Il pollice verso era e verso rimane.
Enrico Letta lo sa. Nemmeno finge più di sottovalutare i pericoli di crisi che incombono sul suo governo. Per questo sfodera gli artigli e carica a tutto campo. Risponde a muso duro all’intemerata del videomessaggio silviesco: «Non c’è nessuna persecuzione. In Italia siamo in uno Stato di diritto. Rispettiamo l’autonomia della giustizia e il lavoro dei magistrati». E poi, citando un vecchio personaggio di Carosello, ormai sconosciuto a intere fasce generazionali: «Non sono Jo Condor, sulla stabilità del governo andremo all’attacco». Anche se ripete a più riprese che il governo ce la farà, sono i toni di chi si prepara alla battaglia, non quelli di chi si sente al sicuro.
Confermano le previsioni tutt’altro che rasserenanti, nonostante i toni belanti usati ieri dal Cavaliere a Roma, le colombe. Proprio non sembrano tirare il sospirone di sollievo per il pericolo scampato. Anche con loro il Cavaliere è stato chiaro. Nessun perdono per l’affronto già subìto nella Giunta per le immunità e per quelli imminenti, di nuovo in Giunta e poi in aula. La mannaia è pronta a calare sul governo e dunque anche sulle loro poltrone, e le occasioni possibili restano due. La prima e più auspicata è il fronte dell’economia. La seconda è il congresso del Pd. Berlusconi prevede che lo vincerà Renzi e che, una volta approdato alla segreteria, si aggrapperà a qualsiasi appiglio pur di licenziare Letta. A fornirgli quell’appiglio, e senza risparmiare, sarà direttamente lui.
La fase di passione e forse di agonia, per Letta, arriverà nella seconda decina di ottobre. Il 4 si svolgerà la seduta pubblica nella Giunta per le immunità, e Berlusconi non ha alcuna intenzione di presentarsi e parlare come un imputato qualsiasi. Dopo una decina di giorni si passerà all’aula, e chi si aspetta le dimissioni anticipate del decadente rischia forte di restare deluso. Un po’, nel voto segreto Berlusconi ci spera. Se l’aula respingesse la sua decadenza dovrebbe essere il Pd a far cadere il governo. Roba da fregarsi le mani.
In vista dell’appuntamento decisivo, c’è una faccenduola da sbrigare. Quei senatori siciliani il cui imminente tradimento è stato descritto dal sottosegretario Castiglione nelle dichiarazioni «rubate» da Piazza Pulita. Meglio non perdere tempo. Ieri sera Berlusconi ha incontrato Schifani proprio per mettere a punto il recupero dei potenziali transfughi e c’è da scommettere che, ora che il gioco è stato scoperto, ci riuscirà. Subito dopo, Berlusconi ha concluso questa trasferta romana a cena con chi, oggi, è più vicino al suo cuore e soprattutto al suo umore: Denis Verdini e Daniela Santanchè. Potentissima nel defunto Pdl, la Pitonessa lo è ancora di più nella rinata Forza Italia. Detestatissima nel partito lo è a maggior ragione adesso che il partito non c’è più. L’insofferenza è a tutto campo. I parlamentari trovano da ridire persino sulla nuova sede di Forza Italia, da lei scelta e da lei arredata: «Troppo grande, troppo lussuosa». L’inquilino numero uno taglia corto: «Va benissimo così». Parla della sede. Allude alla politica.