Se considerata da Oriente, anche la settantesima edizione della Berlinale porta i segni e le conseguenze dell’epidemia di Covid-19, venuta alla luce nella provincia cinese di Hubei lo scorso gennaio. La sezione più toccata sarà senza dubbio quella del Film Market, che quest’anno per coincidenze fortunate del calendario cinese avrebbe dovuto avere una grossa partecipazione dal paese asiatico. Ma la paura del virus, del contagio e le restrizioni sui viaggi imposte dal governo di Pechino hanno fatto sì che la rappresentativa cinese al mercato cinematografico organizzato a Berlino quest’anno sia praticamente inesistente. Anche perché è tutto il cinema commerciale ad essere bloccato nel paese asiatico, i più di 70 mila cinema sono al momento quasi tutti inoperosi, proprio in un periodo, il nuovo anno lunare appena cominciato, che tradizionalmente è quello di maggior flusso della popolazione nelle sale. Inoltre, elemento da non sottovalutare, anche la maggior parte delle grandi produzioni sono al momento sospese, un danno che si riverbererà quindi lungo tutta l’annata e probabilmente fino al 2021. Chissà che le spaccature della macchina cinematografica cinese, che già aveva cominciato a scricchiolare prima della diffusione del virus in realtà, non siano un’opportunità per la rivitalizzazione di un cinema indipendente, magari documentario, come già era accaduto, anche se in un contesto completamente differente, negli anni novanta del secolo scorso.

Proprio un documentario, Swimming Out Till The Sea Turns Blue, è l’unico film proveniente dalla mainland China che parteciperà alle sezioni principali del festival, Berlinale Special. Diretto da Jia Zhang-ke, il film è un racconto degli ultimi settant’anni del paese asiatico e dei suoi cambiamenti visto attraverso gli occhi e le parole di tre scrittori.

La presenza estremo orientale in competizione è comunque abbastanza nutrita, fra i lavori in concorso troviamo The Woman Who Ran del sudcoreano Hong Sangsoo, una delle voci provenienti dalla penisola asiatica più apprezzata nei circoli festivalieri degli ultimi anni. Il film è il racconto di Gamhee e dei suoi incontri con tre delle sue amiche nelle periferie di Seul, durante l’assenza del marito in viaggio per lavoro, un affresco minimalista ma che sembra portare qualcosa di diverso e di nuovo nel cinema del cineasta coreano. Si torna al documentario con Irradiated, il nuovo lungometraggio diretto da Rithy Panh che continua il suo percorso fra gli abissi del male dopo, fra gli altri, S21: La macchina di morte dei Khmer rossi e The Missing Picture. Irradiated è un film sui superstiti e su coloro che sono stati «irradiati» dalle guerre e dal male da esse prodotto. Di Tsai Ming-Liang è invece Days, con cui il cineasta taiwanese ritorna al lungometraggio dopo parecchi anni spesi fra istallazioni d’arte e cortometraggi. Di Days da alcuni giorni sono in rete le prime immagini ed il trailer, un lavoro che sembra essere il linea con la produzione recente del regista, film senza parole, ma con le immagini della quotidianità lasciate a scorrere e riposare su se stesse.

Troviamo un altro documentario nella sezione Panorama, I Dream of Singapore, diretto da Lei Yuan Bin e opera che riflette sulle migrazioni nel sud est asiatico nella città-stato asiatica luccicante all’esterno, ma senza scrupoli nel suo usare e sputare la forza lavoro di chi è costretto a spostarsi da nazione a nazione. Ancora non-fiction, questa volta proveniente dal Giappone, con Zero, presentato nella sezione Forum e diretto da Kazuhiro Soda, regista residente negli Stati Uniti che qui segue il dottor Masatomo Yamamoto, psichiatra, già protagonista di Mental, sempre diretto da Soda nel 2009, responsabile del movimento di apertura dei manicomi giapponesi durante gli anni sessanta. Qui Soda segue il professore in un periodo delicato della sua vita, quando cioè decide di andare in pensione e cominciare, a 82 anni, un nuovo capitolo della sua vita.

Legato al Giappone è anche Minamata (Berlinale Special), film diretto da Andrew Levitas con Johnny Depp che traspone sul grande schermo un libro sul grande avvelenamento di mercurio causato dalla Chisso nella zona di Minamata nel dopoguerra, uno dei più grandi disastri causati dall’uomo sull’uomo. Del Giappone dello tsunami del 2011 tratta Voices in the Wind di Nobuhiro Suwa, viaggio lungo l’arcipelago della giovane Haru ad anni di distanza dalla tragedia, in cerca di tracce che ne restituiscano la memoria e ne portino a galla i traumi ancora ben presenti all’interno di molte persone. Film quest’ultimo presentato nella sezione Generation 14 Plus, così come l’animazione cinese Harvest, in cui il regista e pittore Sun Lijun, attraverso i suoi atmosferici disegni ad acquerello tratteggia la ricerca stagionale di frutta da parte di una cavalletta. Per concludere, in Berlinale Classics, la sezione dedicata alla riscoperta di lungometraggi del passato, da non perdere Cruel Tale of Bushido, diretto da Tadashi Imai e lungometraggio che vinse l’Orso d’Oro nel 1963.