La doppia notte dei tigli esce nel 1959 dopo un viaggio di Carlo Levi in Germania. E in un momento storico dove la Germania è divisa in due, come anche Berlino. Il muro verrà costruito nell’agosto del 1961, al suo posto ci sono macerie e strade solitarie di cose morte abbandonate. Questo dettaglio è essenziale perché rende il libro un documento molto importante per capire il rapporto che avevano gli intellettuali italiani con la nuova Germania del dopoguerra, anzi, le due Germanie.

UN DOPPIO che affascina Levi, la Germania è ricca di contraddizioni, ed è un paese che sia geograficamente che politicamente è al centro dell’Europa, «i suoi problemi sono quelli di tutti e riguardano tutti». Lo scrive Levi nelle prime pagine del libro. Per raccontare userà la tecnica che lui chiama «cristallizzazione». In tutti i suoi viaggi, quando arriva in un luogo sconosciuto, in un paese nuovo, pur con le sue infinite dimensioni e determinazioni c’è un’impressione, un’idea, un’intuizione che «come in un incontro d’amore prende il carattere della cristallizzazione».
Detta con parole più spicce, sarebbe la scintilla, il colpo di fulmine: non è importante che l’immagine sia precisa e fondamentale, ma importa che sia viva e vera perché così permetterà di aprire «come una chiave tutte le porte, e a far capire i molteplici aspetti della realtà». Levi racconta che l’immagine deve rappresentarsi come una «vera appropriazione amorosa» e per spiegare ancora meglio il concetto scrive: «Appena posato il piede sui loro selciati… che cosa mi avrebbe detto al mio arrivo la Germania?».
La risposta forse è nel titolo. E nel senso del titolo, perché quando Levi torna dalla Germania in Italia, è convinto quel grande paese dorma, vegliato dalle sue censure istintive.
La doppia notte dei tigli è un verso di Goethe presente nel Faust: Durch den Linden Doppelnacht. Sono parole con cui il guardiano della torre Linceo accompagna la visione della notte. Sembra un canto di gioia perché è il manifesto della bellezza, tutto quel che nell’orizzonte del suo sguardo è natura, è bellezza: «Vedo fuochi scintillanti / Attraverso la doppia notte dei tigli; / Un braciere s’adira e cresce la sua violenza / Sotto le folate del vento. / Ah! L’interno della capanna è in fiamme (…)».

MENTRE LINCEO canta l’infinito scoppia un incendio, una sfera di fuoco nel mare di tigli e velluto nero della notte. La casa in fiamme è quella di Filemone e Bauci, coloro che Faust voleva far sloggiare per costruirsi il suo belvedere. Il diavolo, in seguito allo scellerato patto, ha realizzato il desiderio di Faust nel modo peggiore, ossia facendo morire i due poveri anziani. All’apparente serenità e idillio delle notti stellate con i tigli fruscianti, subentra l’inferno della violenza.
Questo sguardo doppio, la doppia notte è il riferimento di Levi per trasportare le sue impressioni sulla Germania del dopoguerra. Se il paese è in due parti diviso, è perché lo è stato prima nel suo inconscio. Per l’autore, la Germania ha portato con sé, nei secoli, il carattere permanente della mancanza di unità. Proprio l’ispiratore di questa intuizione sulla doppia Germania (che in quel momento è anche doppia politicamente), è Goethe, che invece rappresenta per Levi l’unificatore. Usa una metafora, «la montagna e la pianura», per indicare il rapporto tra la Germania e la presenza armonica di Goethe rilevata «come una montagna in mezzo a una pianura senza forma».

L’IMPRESSIONE è dunque che la solitudine produca un senso di volontà dominante, volontà di fare e disfare, di dominare e distruggere. All’opposto della volontà si staglia invece la natura dispersiva, quello che Levi definisce «il continuo anelito dei tedeschi verso il classico, il pagano, l’ideale, il perfetto della forma; la brama amorosa e sognante per il sole, per i paesi del Sud, per la terra dove fioriscono gli aranci».
La Germania è una «patria gelosa», scrive Levi, c’è stato un momento che è apparsa come una terra proibita, «vietata dai fatti, da leggi e da armi; vietata forse anche in noi, per il senso del sacro verso un remoto e oscuro momento della coscienza…».
Di che tipo di coscienza parla? La consapevolezza? La funzione psichica che separa io da inconscio? Oppure altro? Forse si tratta di una coscienza etica, la capacità di distinguere il bene dal male. Una capacità che necessità di lucida fede nell’umanità. Per fare questo esiste uno strumento ed è quello di «guardare per vedere e capire». Guardare con coscienza vuol dire farlo «con occhio e animo sgombri di passione, e anche dai resti mortali e fermi delle passioni, dalle vecchie domande, come una cosa nuova».

LA GERMANIA CHE VISITA Levi è in quel momento un paese senza padri, nato dalle ceneri, attraversato da un torrente tumultuoso che ha trascinato via alberi, relitti, rovine e anche ricordi. L’obiettivo del racconto è capire cosa è rimasto, oltre alle macerie dell’uomo e quel che dopo è rinato in seguito all’avvento delle più funeste idolatrie. Carlo Levi guarda ogni luogo e ogni persona che incontra con pietà e amore. È lui stesso che lo dichiara nella prefazione e lui stesso ne trae lezione dopo il viaggio. A che servono miti, magia e ricordi e immagini a chi vuol vedere amorosamente la realtà? Dimentichiamoli e andiamo in quelle città gremite e ordinate.
Il viaggio non sarà, un cammino inerte tra i paesaggi, ma come tutti i racconti di Carlo Levi, non può esistere paesaggio senza uomo. La cifra sarà proprio quella doppia vita, che Gottfried Benn qualche anno prima aveva indicato nell’esistenza e nello spirito. Il libro rimanda l’immagine di Berlino, le due mezze città, Est e Ovest che si rispecchiano e si confrontano, si negano e si completano. La cifra del racconto è doppia, come la natura, come le notti dei tigli nel bosco infinito vegliato dal presago Linceo, come ciò che è umano e umano non è.

 

SCHEDA

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La Fondazione Circolo dei lettori di Torino ha organizzato un articolato progetto sulla figura poliedrica di Carlo Levi, artista, scrittore, giornalista, politico. Dal 9, al centro del palinsesto saranno i suoi romanzi, con lezioni-racconto di autori: da Francesco Piccolo a Claudia Durastanti, Filippo La Porta, Elena Loewenthal, Mario Desiati – che il 16 interverrà su «La doppia notte dei tigli», il reportage di Carlo Levi pubblicato nel ’59 sul suo viaggio in Germania occidentale nel dopoguerra. A conclusione, Nicola Lagioia rileggerà «Cristo si è fermato a Eboli». Particolare risalto verrà dato alla pittura: «Viaggio in Italia. Luoghi e volti» è la mostra, curata da Luca Beatrice ed Elena Loewenthal, allestita nella Wunderkammer della Gam di Torino, dal 10 febbraio (visitabile fino all’8 maggio). Ci sarà anche la rassegna «La Lucania nelle fotografie di Mario Carbone per Carlo Levi. Una testimonianza di vita, dell’esistenza di un mondo vero, fuori dalla storia e dai suoi orrendi risultati», in collaborazione con Camera (31 scatti di Carbone ospitati in Sala Lettura, al Circolo dei Lettori). Il fotografo seguì Levi in Basilicata nel 1960 per documentare il suo viaggio istituzionale, nel quadro delle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia. Un’altra esposizione (con proiezioni di film) guarderà al cinema. Levi sceneggiò «Il grido della terra» di Duilio Coletti (’49), fu disegnatore e costumista nel perduto «Pietro Micca» e in «Patatrac», e Francesco Rosi trasse un film da «Cristo si è fermato a Eboli».