«L’Ucraina la pianti» è questo il monito giunto ieri dal presidente federale tedesco Frank-Walter Steinmeier al governo ucraino di Poroshenko.

«KIEV LA SMETTA DI CRITICARE il progetto di North Stream 2» ha dichiarato il presidente della Germania, ricordando poi gli sforzi del suo paese perché l’Ucraina non resti fuori dai giochi delle pipeline europee.
«North Stream» è il progetto di gasdotto russo-tedesco che attraverso il Mar Baltico dovrebbe portare a partire dal 2019, 55 miliardi di metri cubi di gas russo nel centro Europa. Un progetto a cui manca solo il sì danese (ma anche in caso di risposta negativa i due paesi sembrano avere già nel cassetto una alternativa).

I malumori tedeschi nei confronti dell’Ucraina covavano da tempo e ora sono esplosi pubblicamente. Merkel dopo aver visto Putin a Soci era stata latrice di una proposta di tregua del presidente russo nei confronti del Tridente: la Russia sarebbe stata disposta a continuare a utilizzare le pipeline ucraine anche nel futuro in cambio di aperture nella trattativa del Donbass. Una concessione quantificata in 2-3 miliardi di dollari annui che avrebbe dovuto ingolosire un Paese per cui in questi mesi si continua a parlare di «default controllato» già nei prossimi mesi. Ma dal presidente ucraino era arrivato un “niet” che aveva fatto stizzire la cancelliera.

POI IERI SONO GIUNTE le dichiarazioni alla Rada ucraina del capo degli affari esteri Anna Gobko che hanno fatto perdere la pazienza a Berlino. «La partecipazione della Germania al “North Stream 2” – ha sostenuto la funzionaria ucraina – risolve i suoi problemi economici, spingendo gli interessi dell’Ucraina in secondo piano. I tedeschi ci hanno chiesto di trattare questa materia riservatamente. Ma per noi l’unico compromesso su “North Stream 2”, è la sua cancellazione e l’interruzione della sua costruzione. Per noi è economicamente un progetto inutile». Parole seguite da un roboante appello all’Ue dello stesso Poroshenko: «North Stream 2 è la morte dell’Europa».

QUESTE DICHIARAZIONI segnano non solo un incrinamento delle relazioni tra Kiev e Berlino, ma il definitivo schieramento dell’Ucraina a fianco degli Usa. Il 23 maggio scorso, il segretario di stato americano Mike Pompeo ha affermato che l’Ue deve cambiare strada e rendersi indipendente dalle forniture russe». Come? Acquistando il gas americano che costerebbe loro il 25% in più di quello russo. «Possiamo resistere e ridurre la dipendenza europea dalla Russia attraverso varie opzioni: la consegna di nostra energia attraverso il Caucaso e altri paesi» ha dichiarato Pompeo subito applaudito dai paesi baltici e dalla Polonia. La Casa bianca starebbe anche esercitando la massima pressione perché la Turchia perlomeno rimandi il progetto di costruire assieme a Gazprom «South Stream» un gasdotto che garantirebbe ad Ankara 30 miliardi di metri cubi di gas russo.

UNA PRESSIONE a cui finora Erdogan ha resistito. Come è evidente, lo scontro di ieri è solo la punta dell’iceberg di una contesa più ampia e complessa. Da tempo a Berlino, ma anche a Parigi, hanno smesso di credere alla buona volontà dell’amministrazione Poroshenko. A partire dal 2014 Fondo Monetario internazionale e Unione europea hanno già prestato oltre 10 miliardi di euro all’Ucraina.
Ma delle «ricette neoliberali» che avrebbero dovuto garantire il rilancio del Paese come la riforma delle pensioni e della sanità, neppure l’ombra. E la corruzione impazza, come e peggio dell’era Yanukovic. Difficile che le «riforme» saranno approvate ora visto che a Kiev si è entrati in stagione elettorale. A questo punto Poroshenko potrebbe trovarsi non solo senza il flusso di gas russo ma anche senza il flusso dei quattrini finora generosamente elargiti dalle istituzioni finanziarie.