Oscurato dalla baruffa tra Cdu e Spd sugli hot-spot per i migranti, offuscato dalla crisi bavarese e dalla rivolta sassone, congelato perfino nell’agenda dell’opposizione. Eppure il collasso del sistema dell’accoglienza in Germania è più che conclamato, e il default tedesco, non solo organizzativo, misurabile anche dai non addetti ai lavori.
Sarà per questo che, per ora, nessuno nella Koalition ha (davvero) intenzione di aprire la crisi di governo e neppure i falchi della minoranza, al di là delle dichiarazioni, possono permettersi di sparare politicamente ad alzo zero. Di fatto il crollo della «struttura» – tutt’altro che imprevedibile – è il vero incubo di tutti i partiti e fa più paura delle elezioni nei Land (a marzo 2016 si vota in tre Stati) e a livello federale (2017). Così, nella capitale si naviga a vista, nell’incapacità di gestire, sul serio, il milione di profughi presenti nel Paese entro la fine dell’anno.
Flusso impossibile da controllare, a Berlino «arrestato» a fatica perfino dalla Bundespolizei che il 26 ottobre ha fermato «casualmente» 65 tra siriani, eritrei e arabi sfuggiti alla registrazione nel Brandeburgo. Aspettavano sui binari della stazione di Südkreuz un treno diretto in Svezia, senza le carte e i bolli giusti. Gli agenti li hanno rispediti subito oltre confine, girando la «pratica» al Land di provenienza. Finora il «federalismo reale» ha funzionato così: facendo rimbalzare il problema qualche decina di chilometri più in là.
Un tampone, in tutti i sensi, spinto ben oltre la capacità di assorbimento del sistema e anche del buon senso, come a Sumte, borgo di 102 abitanti nella Bassa Sassonia, destinato a ospitare il… quintuplo di rifugiati. I primi 50 sono arrivati tre giorni fa a bordo di un bus, accolti dal comitato di residenti e dai 4 poliziotti di stanza nel comune. Ora l’«integrazione» è affare loro e il caso, anche se solo sotto il profilo della competenza, è risolto.
Del resto, non ci sono alternative: i centri riservati all’accoglienza dei migranti sono letteralmente implosi, soprattutto nella capitale che si scopre impreparata a ricevere i 20.000 profughi previsti nei prossimi due mesi. A Berlino la situazione è già insostenibile: basta fare un giro nel quartiere di Moabit, a tre fermate di metropolitana dalla cancelleria di Angela Merkel, davanti alla sede del Lageso, l’ufficio socio-sanitario predisposto alla registrazione dei richiedenti asilo. Qui da agosto la situazione è fuori controllo, anche se il livello di guardia viene superato ufficialmente solo il 24 ottobre: a passare il limite è un addetto della security (privata) che «stende» violentemente a terra due profughi usciti dalla fila. E’«la legge del più forte» che rimbalza fin sulla stampa, la gestione «pratica» dell’emergenza, la norma quotidiana che affonda ogni regola.
Un disastro, peggio «una catastrofe» per dirla con le parole dei volontari dell’associazione Moabit Hilft dal 2013 in prima linea sul fronte dell’aiuto ai rifugiati. Appena «tollerati dalle autorità», puntano l’indice contro le istituzioni che «non collaborano» e denunciano l’imbarazzante stato del principale hub della città.
«Il Senato è politicamente responsabile della situazione catastrofica del Lageso» riassumono, prima di elencare i buchi neri dell’accoglienza di Stato: «L’ufficio sociale non assicura le cure sanitarie: nelle strutture ci sono solo i medici volontari, l’assistenza ufficiale non esiste». Si somma ai disservizi igienici forniti ai 500 profughi che ogni giorno affollano il Lageso (un wc chimico, costo: 50 cent a seduta) e alla sospensione dei diritti stabiliti dalla legge sull’asilo «con turni di attesa per il rilascio del primo documento fino a 57 giorni».
In più «chi arriva nel fine settimana non può accedere ai rifugi, le famiglie trovano tetto e cibo solo negli alloggi privati». Fallisce la prova dei fatti pure la distribuzione dei profughi negli ostelli: a Berlino anche chi è dotato del voucher garantito dal Land viene messo alla porta «a causa di ingenti arretrati o di modalità di pagamento non accettate». Il risultato è che «i rifugi stabiliti dal Senato respingono gli sfollati» rimarca chi li assiste sul campo.
Fa il paio con l’implosione burocratica confermata dallo stesso personale del Lageso: «Negli uffici mancano 200 impiegati fra traduttori, mediatori, addetti alle registrazioni» mentre il reclutamento dei pensionati, richiamati per tappare le falle in organico, al massimo serve a guadagnare tempo.
Quello che manca però è soprattutto lo spazio. Non si trova nei quartieri «sovietici» di Berlino est come Marzahn dove l’opposizione frontale dell’ultradestra e dei populisti filo-Pegida appare scontata, ma nemmeno a Reinickendorf, nel nord-ovest, dove gli abitanti «resistono» alla trasformazione dell’ex fabbrica di Tetrapak in un Asylheim per 1.000 migranti. Procede più o meno secondo i piani solo il riallestimento del vecchio aeroporto di Tempelhof (quello del «ponte-aereo») con il montaggio dei letti a castello per circa 2.000 persone affidato all’esercito. Da solo però non basta, al punto che il Senato da una settimana è costretto a scandagliare gli annunci immobiliari su internet, come qualsiasi privato cittadino.
Forse, avvertono i volontari di Moabit, per risolvere il problema «le autorità aspettano che congeli il primo bambino o il gesto di disperazione di qualche profugo». Poco importa se il dramma a Berlino si è già consumato e per qualcuno la coda infinita davanti al Lageso è diventata davvero infernale: è il caso di Mohamed Januzi, bosniaco, 4 anni, perso di vista dalla madre il 1 ottobre nel caos delle registrazioni, ritrovato cadavere un mese dopo nel bagagliaio dell’auto di una guardia giurata (tedesca) con segni di abusi e tortura. Tutto mentre al Bundestag si discuteva dei controlli, per gli stranieri.