Il programma ufficiale di papa Bergoglio in Usa è cominciato sotto un brillante sole settembrino col cerimoniale da capo di stato sul prato della Casa bianca e col benvenuto di Obama a nome dei 70 milioni di cattolici nordamericani. Dopo i sorrisi e la familiarità mostrata sulla pista della Andrews air force base all’arrivo da Cuba, la cifra dell’incontro è continuata con una sintonia fra i due che va chiaramente al di là dei dovuti convenevoli. Oltre alle parole e agli atteggiamenti, in un incontro come questo contano anche i simbolismi, e lo dimostra innanzitutto l’itinerario di Francesco, giunto in Usa dal «sud del mondo», dall’emisfero ispanico e meridionale. Nel suo primo discorso (negli Stati uniti, in totale ne pronuncerà 16 in quattro giorni) il papa ha tenuto a dichiarare: «quale figlio di una famiglia di emigranti, sono lieto di essere ospite in questa nazione, che in gran parte fu edificata da famiglie simili». Alla Casa Bianca Obama, che sul twitter ufficiale ha ringraziato il pontefice per «il prezioso sostegno nel nostro nuovo inizio col popolo cubano» ha aggiunto: «Lei ci ha ricordato che il più importante messaggio del Signore è la misericordia e ciò significa accogliere lo straniero con empatia e cuore aperto», che siano migranti o rifugiati. L’immigrazione è uno dei temi su cui c’è grande sinergia fra Obama e Francesco anche se sui rifugiati in particolare devono ancora far seguito passi concreti in un paese che ad oggi accoglie una minuscola parte di profughi di guerra (l’attuale proposta di Obama è di alzare le quote di profughi siriani a 100000 entro il 2017).

Al paese più multietnico, Francesco ha voluto ricordare l’importanza di tenere conto di coloro che bussano oggi «con forza alle nostre case, città e società». Ma alla patriadella disuguaglianza e del “darwinismo sociale” ha rammentato anche quella di promuovere «modelli integrali ed inclusivi di sviluppo» che non dimentichino i più deboli di questo mondo. Riferimenti alla giustizia sociale in sintonia con molte politiche di Obama ma assai meno con quelle dei numerosi pretendenti alla nomination repubblicana in questo avvio di campagna presidenziale.
Dal podio della south lawn i due leader hanno ribadito la rilevanza di un altro argomento centrale di questa visita pastorale, quella che Obama ha definito l’imprescindibile e «sacra responsabilità di proteggere il pianeta, magnifico dono di dio» . Francesco si è detto «incoraggiato» dalle iniziative politiche del presidente in questo senso, sottolineando che il mutamento climatico non è più un problema che può essere lasciato a successive generazioni. Sul “progetto ambientale”, Vaticano e Usa sono stati vicini ancor più che sul disgelo cubano: al punto che Gina McCarthy, la direttrice della Epa, l’agenzia ambientale americana, ha fatto per mesi la spola col Vaticano mentre venivano messe a punto da un lato l’enciclica papale e dall’altro il piano sulle emissioni presentato da Obama ad agosto. Una vera e propria collaborazione politica che trova nella attuale visita il compimento di una “manovra bilaterale”, destinata quantomeno a mettere definitivamente all’ordine del giorno “ufficiale” il mutamento climatico e le politiche ambientali per prevenirlo.

Soprattutto perché la terza componente è rappresentata dalla contemporanea visita di Xi Jinping. Il presidente cinese che arriva oggi a Washington dopo una manovra di approccio iniziata a Seattle. Nella città di Bill Gates, Xi ha avuto incontri commerciali e partecipato a un summit tecnologico ma anche incontrato governatori di diversi stati americani per discutere di clima e strategie «subnazionali» per l’ambiente, e l’argomento sarà certamente all’ordine del giorno anche negli incontri con Obama.

Clima insomma come tema unificante su cui costruire strategie comuni anche dove esistono fondamentali divergenze. Fra Cina e Usa le differenze di opinione certo non mancano, dagli attacchi cibernetici, all’egemonia economica e i diritti civili. Anche fra Casa bianca e Vaticano rimangono divergenze obbiettive: sull’aborto ad esempio o sull’obiezione di impiegati pubblici sui matrimoni gay (temi cari semmai ai conservatori dell’opposizione repubblicana). E rimane l’ombra della pedofilia e delle gravi responsabilità dei vescovi americani – e di Roma – che sono ancora da chiarire. Ieri dopo Obama, Francesco ha incontrato la delegazione della conferenza episcopale Usa, e li ha definiti «crimini che non devono mai più ripetersi». E nel pomeriggio ha celebrato la messa di canonizzazione del frate Francescano Junipero Serra, evangelizzatore della California durante la conquista spagnola. Un atto che ha suscitato le proteste degli indigeni decimati nella colonizzazione, ma che è stato il gesto di riconoscimento del futuro “ispanico” del cattolicesimo americano da parte del primo Papa nativo del nuovo mondo.

Ci sarà tempo per approfondire nel merito altri temi politici. Stasera Francesco sarà il primo pontefice a pronunciare un discorso alle camere riunite del congresso. Domani si rivolgerà all’assemblea plenaria dell’Onu. Intanto ciò che rimane dalla prima giornata americana di Bergoglio è l’immagine del papa e del presidente davanti alla Casa bianca. Il primo papa a compiere il viaggio era stato Wojtyla, nel 1979 quando qui incontrò Jimmy Carter. Ma era stata la stretta collaborazione “anticomunista” fra Giovanni Paolo II e Ronald Reagan a definire fino a oggi la massima sinergia fra Vaticano e Washington. Da ieri non è più così. E non poteva esserci una coppia più diversa per valenza simbolica e politica a prendere il loro posto.