Cuba accoglierà il pontefice «con affetto e rispetto» e il vertice politico «ascolterà i suoi messaggi con attenzione e rispetto». Dunque: «Benvenuto papa Francesco», come tre giorni fa titolava in prima pagina Granma, organo del partito comunista, e dunque del governo, annunciando la visita pastorale del papa a Cuba che inizia oggi e si protrarrà fino a martedì.

La promessa di apertura nei confronti del «Sommo pontefice della Chiesa cattolica e capo di Stato della Città del Vaticano» è stata mantenuta: nella serata di ieri la tv di Stato ha trasmesso un video-messaggio di Francesco al popolo cubano, col quale «condividerà fede e speranza».

Il privilegio di rivolgersi direttamente ai cubani attraverso il più efficace dei mass media non era stato concesso ai due predecessori di Francesco che hanno visitato l’isola, Wojtyla nel 1998 e Benedetto XVI tre anni fa. Segno evidente che i rapporti tra governo e chiesa cattolica cambiano, in sintonia con l’«attualizzazione del socialismo cubano», ovvero le riforme socio-economiche intraprese più di cinque anni fa dal governo di Raúl Castro, e con il rinnovamento che il papa argentino vuole imprimere alla chiesa e al movimento cattolico.

La visita pastorale avviene inoltre in un momento assai importante e delicato per Cuba impegnata in «una nuova tappa delle relazioni» diplomatiche e politiche con gli Stati Uniti dopo la fine di cinquant’anni di guerra fredda. In questo processo Francesco ha avuto un ruolo importante e continuerà ad averlo se, nella seconda parte della sua missione pastorale negli Stati Uniti continuerà, come si augura il vertice cubano, il suo pressing sul presidente Obama per giungere alla fine dell’ embargo contro Cuba. Mercoledì il ministro degli Esteri Bruno Rodríguez Parrilla ha informato che il blocco economico-commerciale e finanziario «ha continuato a rafforzarsi anche durante il periodo di colloqui per ristabilire le relazioni» tra i due paesi e che dal 1962 ha causato a Cuba «perdite per 833.755 milioni di dollari».

Di questi temi – rapporto tra la chiesa cattolica e il governo socialista e la continuazione della mediazione sua e del vaticano per il procedere della distensione con gli Usa- Bergoglio parlerà con il presidente Raúl Castro e anche con Fidel. L’incontro con il lìder della rivoluzione non è ufficialmente in agenda, ma nessuno ha dubbi: vi sarà in forma privata.

Tutto è pronto all’Avana come a Holguin e Santiago di Cuba, le altre città dove il papa celebrerà una messa. L’altare e le altre strutture montate nell’immensa piazza della Revolución della capitale non hanno precedenti per imponenza, bandiere papali sventolano nelle strade che portano dall’aeroporto alla Nunziatura, immagini di Bergoglio e grandi scritte di benvenuto decorano le chiese, gruppi di giovani cattolici hanno organizzato manifestazioni per informare sui contenuti della visita pastorale in «barrios umildes» dell’estrena periferia e in piccole città della provincia.

Sulla partecipazione popolare non vi sono dubbi. La macchina assai ben rodata della mobilitazione di massa è avviata, inoltre il governo ha annunciato che sarà pagato il salario della giornata a chi parteciperà alla messa papale.

Bergoglio, allora vescovo di Buenos Aires, partecipò 17 anni fa alla visita pastorale a Cuba di papa Wojtyla e su quell’esperienza scrisse un libro. Oggi potrà vedere con i propri occhi i cambiamenti in corso, in primis la bandiera a stelle e strisce che sventola di fronte alla nuova ambasciata americana sul malecón (lungomare) dell’Avana.

Ma soprattutto potrà incontrare i cuentapropistas, i piccoli imprenditori o i lavoratori in proprio – ormai più di mezzo milione in tutta l’isola – che dovrebbero formare l’ossatura di una nuova classe media.

Come pure potrà vedere i rappresentanti delle religioni afro-cubane, quei “santi” vestiti di bianco la cui presenza aumenta nelle strade, specie nei quartieri popolari, quelli più meticciati.

Il nuovo corso con gli Stati Uniti, le riforme economiche e sociali in corso sono vissuti dalla gente comune con un misto di speranza e di inquietudine su cosa porterà il futuro. Il salario medio è cresciuto a quasi 600 pesos cubani, meno di 25 euro al mese, ancora troppo pochi per affrontare i prezzi che salgono. Chi non può contare su rimesse di parenti o su missioni all’estero non se la passa bene. In più la forbice sociale indotta dalla crisi si apre, nonostante gli sforzi del governo.

Dalle file della piccola e debole dissidenza interna e dell’aggressiva opposizione anticastrista della Florida vengono rivolti appelli a Francesco perché esca «dalle maglie» di una visita molto regolamentata e inviti i cubani «a non aver paura», come fece Wojtyla 17 anni fa.

Ben diversa la posizione dell’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega. La missione pastorale di Francesco, sostiene, prevede «riconciliazione e pace tra i cubani». E non vi è dubbio nel movimento cattolico che il carisma del pontefice e soprattutto la sua capacità di «parlare la stessa lingua» della gente comune raggiungeranno lo scopo.

Un primo obiettivo la chiesa l’ha ottenuto: il governo ha infatti concesso l’aministia a 3.522 carcerati: si tratta di prigionieri di oltre 60 anni, persone con meno di 20 anni senza precedenti penali, malati cronici, donne, stranieri il cui paese assicura l’estradizione. Nelle scorse settimane migliaia di cubani avevano chiesto alla chiesa di intervenire a favore dei loro parenti incarcerati.

«Consideriamo l’amnistia un segno positivo», hanno commentato sia la chiesa cubana che il Vaticano. «Ma il governo non ha amnistiato nessuno dei 60 carcerati che consideriamo prigionieri politici», sostiene Elizardo Sánchez, portavoce della Commissione per i diritti umani e la riconciliazione nazionale. «In materia di diritti umani Francesco non potrà fare miracoli – dice – ma gli chiediamo di mettere la questione in agenda, anche se fosse solo nei colloqui privati».