Si è aperta ieri in Vaticano l’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Sceglierà il suo nuovo presidente, che succederà al cardinal Bagnasco, alla guida dei vescovi italiani per un decennio.

L’assemblea è stata introdotta da papa Francesco che, prima di incontrare i vescovi a porte chiuse («vorrei fra di noi un dialogo sincero, in cui si dicano le cose chiaramente», ha chiesto il papa), ha salutato Bagnasco in modo sottilmente ironico e decisamente irrituale, senza nascondere le divergenze: «Vorrei ringraziare il cardinale per questi dieci anni di servizio e per la pazienza che ha avuto con me. Non è facile lavorare con questo papa». E poi: «Ma tanto lei non è molto abituato (a lasciare, ndr): passa da una presidenza all’altra», alludendo al fatto che Bagnasco è stato da poco eletto alla guida del Consiglio delle Conferenze episcopali europee.

Battute pontificie a parte (che però potrebbero far irrigidire gli oppositori), la settantesima assemblea della Cei riveste una grande importanza. Perché verrà individuato il nuovo presidente dopo un trentennio di assoluta continuità segnata dalla successione Ruini-Bagnasco. E perché per la prima volta saranno i vescovi, con una votazione democratica, ad indicare la propria preferenza sul presidente.

Non si tratta di una vera e propria elezione diretta, come avrebbe voluto papa Francesco che nell’assemblea del 2014 si era espresso in questa direzione. I vescovi hanno optato per una soluzione intermedia: eleggeranno una terna e poi al papa toccherà la scelta. Un modo per non rinunciare a quei «particolari vincoli dell’episcopato d’Italia con il papa» che consente alla Cei – unica Conferenza episcopale al mondo che non elegge il proprio presidente ma lo lascia scegliere al papa, sebbene ora all’interno di una terna votata a maggioranza – di autoproclamare la propria specificità e, in un certo senso, la propria superiorità.

Dalla terna, quindi, si capirà se i 226 vescovi italiani – un terzo nominati da Bergoglio, due terzi scelti da Wojtyla e Ratzinger – sono sintonizzati sulla linea pastorale ed ecclesiale di papa Francesco oppure no.

In un documento non letto ma consegnato ai vescovi, il papa ha dato delle indicazioni sul futuro della Chiesa italiana, invitando alla «collegialità episcopale», a vincere «chiusure e resistenze» e a rinunciare a «logiche di potere e di successo forzatamente presentate come funzionali all’immagine sociale della Chiesa» ma che in realtà sono «indice della mancanza di convinzioni interiori» e inoltre a rinunciare a «inutili ambizioni», alla «tiepidezza del compromesso, l’indecisione calcolata, l’ambiguità».

Oggi le elezioni, con un complesso sistema di votazioni assembleari e ballottaggi che produrranno la terna da presentare al pontefice, che già entro la serata potrebbe individuare il nuovo presidente. Diversi i nomi in campo, che potrebbero ottenere un consenso trasversale, senza quindi costituire una svolta decisa: il lombardo Brambilla (vescovo di Novara), cresciuto all’ombra del cardinal Martini; il toscano Meini (vescovo di Fiesole); il pugliese Santoro, ciellino, conosciuto e apprezzato da papa Francesco, per molti anni vescovo in Brasile – dove si è distinto per la sua opposizione alla teologia della liberazione – e dal 2011 vescovo a Taranto, dove invece si è più volte espresso in maniera critica verso l’Ilva.

Potrebbe esserci anche Betori, segretario della Cei ai tempi di Ruini, e sarebbe una scelta chiara di continuità, se non di ritorno al passato. Di “rottura”, e per questo con poche possibilità di successo, potrebbe essere il nome di Zuppi, vescovo di Bologna, impegnato su temi sociali, ma la sua appartenenza alla Comunità di Sant’Egidio – che non gode di consensi unanimi nell’episcopato – potrebbe essere un ostacolo. Oppure quelli emersi nelle ultime ore: Montenegro, creato cardinale da Francesco, presidente della Caritas, vescovo di Agrigento, in prima linea sul tema immigrazione; e Bertolone (vescovo di Catanzaro), che ha promosso con successo la causa di beatificazione di don Puglisi, il parroco di Palermo ucciso da Cosa Nostra.

Il candidato di Francesco sembra essere Bassetti, vescovo di Perugia, anche lui creato cardinale e inserito nella Congregazione dei vescovi al posto di Bagnasco. È anziano, ha 75 anni, ma paradossalmente l’età potrebbe essere un punto di forza (anche perché è già stato “prorogato”) se i vescovi puntassero ad un presidente di transizione.