Ricomincia dalla Moneda il viaggio apostolico di papa Francesco in Cile. Dal balcone del palazzo presidenziale, 31 anni fa (1 aprile 1987), Giovanni Paolo II si affacciò a salutare la folla insieme al generale Pinochet (un’ultima versione accreditata in Vaticano narra ora che Wojtyla fu fatto affacciare lì con l’inganno). Ieri Francesco è tornato alla Moneda per incontrare la presidente Michelle Bachelet e le autorità civili, fra cui c’era anche il presidente eletto Sebastian Pinera, che si insedierà l’11 marzo.

«Continuate a lavorare perché la democrazia, ben al di là degli aspetti formali, sia veramente un luogo d’incontro per tutti», ha detto il papa, toccando uno dei temi politici sensibili della vita del Cile e della sua visita, quello del popoli indigeni, a cui sarà dedicata parte della giornata di oggi a Temuco, in territorio mapuche, dove sono possibili proteste, come ve ne sono state ieri a Santiago e in altre parti del Paese contro il papa e il governo.

«La pluralità etnica, culturale e storica esige di essere custodita da ogni tentativo di parzialità o supremazia – ha aggiunto – è indispensabile ascoltare i popoli autoctoni, spesso dimenticati, i cui diritti devono ricevere attenzione e la cui cultura protetta, perché non si perda una parte dell’identità e della ricchezza di questa nazione».

Ma il punto dolente è un altro: la questione della pedofilia del clero. «Non posso fare a meno di esprimere il dolore e la vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa», ha detto il papa. «È giusto chiedere perdono e appoggiare con tutte le forze le vittime, mentre dobbiamo impegnarci perché ciò non si ripeta».

Con i preti e i religiosi, incontrati nel pomeriggio nella cattedrale, ha invece usato parole più morbide: c’è il «dolore per il danno e la sofferenza delle vittime» ma «anche per voi, che avete vissuto il danno provocato dal sospetto e dalla messa in discussione», che «a volte avete subito insulti in metropolitana o camminando per strada».

Il nodo in Cile è particolarmente aggrovigliato, le parole del papa ne evidenziano le contraddizioni. Da anni il Paese è attraversato da uno scandalo che Bergoglio non solo non ha risolto ma anzi ha contribuito a complicare.

Secondo BishopAccountability.org (un gruppo Usa di monitoraggio sulla pedofilia) dal 2000 ad oggi circa 80 preti sono stati accusati di aver compiuto abusi sessuali su giovani. Tra questi don Fernando Karadima, per anni parroco a Santiago, nel 2011 condannato dalla Santa sede per abusi su minori. Fra i «discepoli» di Karadima, accusati di complicità con il loro formatore, ci sono anche tre vescovi (consacrati da papa Wojtyla).

Uno dei tre, Juan de la Cruz Barros Madrid, prima ordinario militare, è stato promosso da papa Francesco vescovo di Osorno – con la forte sponsorizzazione del discusso nunzio apostolico in Cile Ivo Scapolo -, quando le accuse nei suoi confronti erano già note e nonostante le proteste dei fedeli. Che Bergoglio sapesse è emerso chiaramente pochi giorni fa, quando l’Associated press ha pubblicato una lettera di Francesco ai vescovi cileni, datata 31 gennaio 2015, in cui il papa diceva di conoscere la situazione di Barros – così come agli altri due vescovi amici di Karadima – consigliando di prendersi «un anno sabbatico».

Poi però, per una fuga di notizie (i nomi degli altri due dovevano restare segreti), il provvedimento è saltato, e Barros è restato regolarmente al proprio posto, dov’è ancora, nonostante le contestazioni, mai interrotte. E ancora Francesco, a maggio 2017, incontrando a margine di un’udienza in Vaticano alcuni cattolici di Osorno vicini a Barros – che hanno registrato la conversazione – ha detto loro che contro Barros «non ci sono prove» e che quindi i fedeli «non devono farsi prendere in giro da quegli stupidi che hanno montato la vicenda».

Una inversione a U da parte di papa Francesco – dall’anno sabbatico alla difesa vigorosa – difficilmente spiegabile se non, forse, con la volontà di salvaguardare l’istituzione. Un comportamento che però mal si accorda con la richiesta di perdono pronunciata ieri.