Almeno cinque morti tra i quali un poliziotto, decine di feriti e circa 200 arresti. È il bilancio dei disordini esplosi nelle ultime 48 ore in Zimbabwe, a seguito del brusco aumento della benzina, che è passata in un giorno da 1,24 dollari 3,31 dollari al litro e che soprattutto continua a scarseggiare.

Nel tentativo di arginare le proteste, il governo ha provato ieri a usare le maniere forti anche sul web, bloccando l’accesso ai social media. Ma in mattinata, per disperdere con i gas lacrimogeni i manifestanti che erano tornati a riempire le strade della capitale Harare e della seconda città del paese, Bulawayo, la polizia era ricorsa anche agli elicotteri. Gli incidenti più gravi sono avvenuti lunedì, quando i dimostranti hanno eretto barricate e incendiato pneumatici per esprimere la loro rabbia contro il presidente Emmerson Mnangagwa e l’annuncio dell’aumento, necessario secondo lui a contrastare proprio la carenza di carburante. Le file già presenti da giorni di fronte ai distributori da quel momento sono aumentate a dismisura. E con esse la protesta. La polizia ha risposto duramente: le vittime e molti dei feriti sarebbero stati colpiti con armi da fuoco, denuncia il Forum per i diritti umani, un collettivo di sigle della società civile. Sempre lunedì è stato dato alle fiamme anche l’edificio che ospita la sede del Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), il principale partito dell’opposizione.

L’aumento del carburante ha innescato a catena i rincari di tutti i generi alimentari e dei beni di prima necessità. In barba alle ricchezze del suo sottosuolo, il Paese è in preda a un’iperinflazione cronica che né il cambio di regime – dopo il 37ennale regno di Robert Mugabe – né l’adozione del dollaro Usa in attesa di una nuova valuta che dovrebbe essere introdotta il prossimo anno hanno potuto risolvere.