Il dibattito degli ultimi giorni a partire dalla vicenda Fca, mostra tutti i limiti della politica italiana e, una volta di più, rivela come uno dei principali problemi nel nostro paese sia la mancanza di memoria.

Sembra che se ne siano accorti tutti solo ieri del fatto che Fca abbia spostato sede legale e fiscale in Olanda e in Inghilterra. In particolare quelli che da destra si sono scagliati contro la poca “italianità” della famiglia Agnelli – Elkan. E fino a ieri però dov’erano? Distratti, forse.

O più probabilmente conniventi con la legge non scritta dei grandi capitali . Oggi, di fronte ad una vera e propria indignazione popolare per la richiesta di garanzie pubbliche di Fca, molti degli alfieri del neoliberismo si sono resi conto di non poter sostenere una posizione diversa da quella che chiede alla multinazionale di ritornare a pagare le tasse nel paese che molti fondi e molta ricchezza gli ha garantito.

Intendiamoci, è un bene che in tanti oggi, in diversi schieramenti politici e non solo la Sinistra, chiedano impegni certi alle grandi aziende su tasse e fiscalità e si indignino di fronte ai continui tentativi delle multinazionali di scappare via quando c’è da dare e di prendere tutto ciò che possono quando c’è da prendere. Ma è tardivo e anche inutile se non accompagnato da impegni concreti. Possiamo comiciare da un’offensiva nei confronti di chi all’interno della Ue pratica dumping fiscale e salariale, o delle regole che lo consentono?

C’è poi un altro elemento che andrebbe affrontato e su cui sarebbe necessario un esercizio di memoria.

Renzi, Salvini, Meloni ed altri, utilizzano il vecchio argomento degli investimenti che Fca dovrebbe fare in Italia, con i soldi del prestito, per giustificarne l’erogazione.

Ma parliamo della stessa azienda che per anni ha avuto fondi e finanziamenti dallo Stato italiano senza alcun vero piano industriale e di investimenti?

Parliamo della stessa azienda che ha di fatto rotto il patto con il Paese e i lavoratori, uscendo unilateralmente da Confindustria per disapplicare il contratto collettivo nazionale di lavoro?

Sì, e chi ha un po’ di memoria delle relazioni industriali in questo paese lo ricorda.

Come ricorda il processo di delocalizzazione massiccia avviato circa quindici anni fa, che ha sottratto posti di lavoro, reddito e competitività al nostro Paese. Così come ricorda i diversi annunci su investimenti miliardari negli stabilimenti italiani, alcuni anche cofinanziati da enti pubblici, salvo poi scoprire che il trattamento riservato ai lavoratori era di fatto una prolungata cassa integrazione (il glorioso Piano Fabbrica Italia dice nulla?).

Inoltre, quando si parla di nuovi investimenti di Fca, è possibile sapere sin da subito di cosa si tratta? O come al solito si presenterà la copertina di un libro vuoto, mentre negli altri paesi europei le linee industriali dei grandi gruppi vengono giustamente indirizzate e corrette dai governi? È mai possibile che non ci sia la possibilità di discutere di innovazione di prodotto e di tecnologia nel segno della conversione ecologica, ma anche di relazioni fra azienda e lavoratori?

C’è infine un punto a cui in pochi stanno prestando attenzione in questi giorni: Fca è destinata nel giro di pochi mesi a completare la fusione con il gruppo francese Psa. Un gruppo forte e solido, nel cui capitale è impegnato lo Stato francese. Se la fusione andrà in porto, come sembra, entro il 2021, non può esistere un piano industriale targato esclusivamente da Fca, ma si tratterà di un piano Fca-Psa, con un ruolo preponderante del governo francese, mentre il governo italiano è tenuto all’oscuro di tutto. Eppure su questa vicenda non c’è bisogno di esercizio di memoria, è cronaca dei giorni nostri.

In definitiva, per chi e per cosa eroghiamo una garanzia con i soldi dei cittadini italiani? Per la Francia?