Con 698 residenti censiti all’anagrafe, Foza è uno dei sette comuni dell’Altopiano d’Asiago che Mario Rigoni Stern ha incarnato con il cappello d’alpino e le sue storie. Anche sotto i monti, a 1.086 metri sul livello del mare, “mamma Dc” rappresentava il riferimento obbligato ancora alla metà degli anni ’90. Con il sindaco Carlo Lunardi il centrosinistra formato Ulivo ha retto fino al 2004, poi il piccolo municipio si è uniformato e ha girato pagina.

 

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MA A FOZA il 5 marzo le famiglie si sono risvegliate nella “capitale della Lega”: 269 voti su 342 collezionati dal centrodestra, cioè il 60,99% dei consensi. Matteo Salvini non ha comiziato da queste parti con felpa d’ordinanza. Il giovane sindaco Mario Oro avrà sognato come gli altri, nel 2007, di traslocare in Trentino sull’onda di un plebiscito referendario rimasto lettera morta. La sicurezza qui è solo… stradale, mentre di “emergenza immigrazione” non c’è traccia nelle borgate cimbriche. E a Foza il Pil nominale supera i 16 mila euro.

Il verdetto delle urne, però, è inequivocabile: Foza… Lega. In perfetta sintonia con il trionfo, personale e politico, di Luca Zaia tre anni fa. O con l’80% di “no” che qui aveva già seppellito Renzi, in nome del popolo serenissimo e autonomista. Per tutti gli altri partiti, a Foza c’è sempre il “sentiero del silenzio” disegnato dall’architetto Diego Morlin di Bassano del Grappa nella memoria della Grande Guerra.

Del resto, nel Vicentino al trionfo della Lega 4.0 corrisponde la Caporetto dei berluscones e del Pd. Sono i micro-universi che a maggioranza assoluta hanno coltivato lingua, tradizione e “alternativa” di un Veneto periferico rispetto alla mitologica locomotiva economica, come pure ai salotti degli “eletti” inossidabili. Così a Enego, sempre sull’Altopiano, la Lega vale il 50,09%; sui monti di Tonezza del Cimone il 51,59%; a Crespadoro nella valle di Chiampo il 54,12%; a Posina, giusto al confine con Trento, il 55,66%.

E a un quarto d’ora di distanza, percorrendo la provinciale 81, si approda a Laghi: 22 km quadrati, 129 anime, il comune più piccolo del Veneto. La Liga veneta era già il primo partito (26%) ai tempi della sfida fra Prodi e Berlusconi. Con i 23 voti usciti dalle ultime urne la versione di Salvini raggiunge quota 48,93% di consensi.

crespadoro

Troppo facile, però, clonare il vecchio schema interpretativo della “campagna pedemontana” serbatoio del sogno verde padano.

L’identikit dell’elettore leghista in Veneto è di ben altro tenore: per un terzo si tratta di chi aveva scelto il Pdl nel 2013, mentre gli under 25 fanno massa perfino più che nel M5S; dilaga nella “classe operaia” e perfino nel ceto tecnico-impiegatizio; mantiene lo zoccolo di over 55, donne e cattolici “saltuari”.

IL VENETO così si rispecchia in Legaland. È la regione più leghista d’Italia: 32,2% che significa 23 deputati e 9 senatori. La Lombardia di Salvini è ferma al 28% davanti a Piemonte, Umbria e Liguria. Ammette sconsolato il filosofo Massimo Cacciari con li settimanale diocesano di Treviso: «È l’unico partito vero e strutturato rimasto. Tra l’altro è ormai il più vecchio che c’è. Ma Salvini è stato abile. Ha posto fine all’egemonia di Fi. E lo ha fatto cambiando pelle, diventando una tipica forza della destra europea e nazionale. Al tempo stesso, ha conservato il radicamento territoriale».

La Marca gioiosa di Zaia (che con la lista civica personale alle Regionali aveva raccolto il 23% dei voti) ha garantito oltre 183 mila consensi superando il 37%. Nelle altre cinque province la Lega non è mai scesa sotto la soglia del 30: il Veneziano, ultimo argine, contabilizza comunque il 28,3. Insomma, il nuovo leghismo che avanza ha fatto addirittura meglio dell’ultima Dc che nel 1992 ottenne il 31,7%.

Dai 310.038 voti della Lega di Roberto Maroni ai 918.985 di quella di Salvini. È davvero una “rivoluzione”, perché la secessione stile leòn di san Marco ha ceduto il passo al piglio della “classe dirigente” dell’autonomia referendaria.

CURRICULUM come quello di Massimo Bitonci, 52 anni, commercialista: amministratore per vent’anni della roccaforte di Cittadella, poi capogruppo in Senato, sindaco di Padova per 17 mesi. Ora ritorna a Montecitorio, dove debuttò nel 2008. Aveva già sfidato inutilmente a congresso il sussidiario Flavio Tosi, ma dal 6 marzo 2016 è il presidente della Liga Veneta cioè il leader del trionfo elettorale.

O profili emergenti come Lorenzo Fontana, 37 anni, che all’Europarlamento di Bruxelles ha “linkato” Salvini al Front National di Marine Le Pen. Dal 2016 è vice-segretario federale della Lega Nord con Giancarlo Giorgetti. E la scorsa estate è diventato vice sindaco di Verona. Capolista nel collegio plurinominale, ha conquistato anche il seggio alla Camera. È uno dei fedelissimi che Salvini ha scelto per andare dal notaio a depositare simbolo, statuto e tessere della Lega 4.0.
Legaland andrà a comandare così, fin dentro palazzo Chigi?