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«Benvenuta Pantera». Esplode l’antagonismo musicale

«Benvenuta Pantera». Esplode l’antagonismo musicale99 Posse

Fenomeni/Onda Rossa Posse, Isola Posse, Lou X, 99 Posse, Sud Sound System, la militanza politica irrompe nelle rime e travolge la musica nostrana «Fight the Power», il classico dei Public Enemy, influenzerà un’intera generazione

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 22 febbraio 2020

Il 1° maggio 1990, Cgil, Cisl e Uil, in occasione del centennale dell’istituzione della Festa del Lavoro in Italia, organizzano a Roma la prima edizione del «Concertone». Davanti a circa 200mila persone e a qualche bandiera rossa, sul palco si alternano colossi della musica italiana come Edoardo Bennato, Pino Daniele, Zucchero, Caterina Caselli, Gianni Morandi e addirittura i Pooh. In un paese dove i grossi eventi musicali sono sempre nazional-popolari questa volta, però, c’è qualche traccia di underground: vedere in diretta televisiva su Rai Due un gruppo di nicchia come i Casino Royale fa un certo effetto. La band milanese, sulla scia degli esordi ska, con Jungle Jubilee ha appena ampliato le influenze sonore: non più solo anglo-caraibiche ma anche latine e mediterranee. Il pezzo forte è Skaravan Petrol, rifacimento in levare di uno dei brani più noti di Renato Carosone e unico passaggio del disco non cantato in inglese ma in un simil napoletano. La scena musicale underground italiana, complice il fermento politico, culturale e sociale in atto, si sta facendo sentire sempre di più.
FOTTI IL POTERE
Bisogna tornare a inizio dicembre del 1989, quando accade un fatto che, per quanto minuscolo rispetto all’epocale caduta del Muro di Berlino, avvenuta appena un mese prima, resta importante per quello che scatena in Italia: l’occupazione della Facoltà di Lettere di Palermo è il preludio alla nascita di un movimento studentesco che coinvolgerà in poco tempo ben oltre 100 università. I Casino Royale esistono dal 1987, a prescindere da questo evento, ma la loro esibizione in Piazza San Giovanni testimonia come la «musica» e l’aria che si respira stiano cambiando.
Sempre nel 1989, a maggio, a Cannes, viene proiettato in anteprima mondiale Fa’ la cosa giusta di Spike Lee, e grazie allo spaccato di vita di un quartiere disagiato di Brooklyn, molti italiani iniziano a fare i conti con il rap: uno dei personaggi chiave del film, Radio Raheem, gira per strada armato del suo ghettoblaster da cui spara a tutto volume una sola canzone, Fight the Power dei Public Enemy. Il titolo del brano, ripetuto nel ritornello, è di grande impatto, lapidario, antagonista e influenzerà la concezione del rap di un’intera generazione di ragazzi italiani. Il rap entra nella testa di molti in poco tempo e non equivale più a svago e casino come poteva sembrare da altri brani di artisti noti come LL Cool J o Beastie Boys prima maniera, ma diventa il genere musicale con un messaggio chiaro e incisivo e un ritmo aggressivo che non lascia fermi – come Lee mette in chiaro sui titoli di testa riprendendo la danza energica e sensuale dell’ispanica Rosie Perez. Batti il tuo tempo – «per fottere il potere», dice il ritornello – in qualche modo è la versione italiana di questo concetto ed è un pezzo che ha appena trovato i natali tra Radio Onda Rossa, il Forte Prenestino e La Sapienza occupata. A firmarla sono i romani Onda Rossa Posse che, quando vanno a inciderla insieme ad altri pezzi, mettono nel retro copertina la Pantera, simbolo delle Black Panthers ma anche del movimento innescato dall’occupazione di Palermo: «Benvenuta pantera. Animale libero che fuggiva braccato nelle campagne romane» scrive Militant A nel libro del ’97 Storie di assalti frontali.
La militanza politica italiana riflessa nelle rime a tempo non può che essere diversa da quella statunitense: se oltreoceano il fenomeno si è diffuso prima di tutto nei quartieri «ghetto» dove vivono le minoranze etniche, qui l’ambiente di riferimento, a parte le scintille nelle università, sono i centri sociali, frequentati anche dai figli della borghesia. I Public Enemy, inoltre, sono solo una faccia di una scena rap americana che è anche molto pragmatica, visto che nasce nel disagio, e trova adepti pure in chi ha solo voglia di divertirsi, di tentare l’ascesa sociale o, magari, di scandalizzare il borghese medio, riprendendo una tradizione della comunità afroamericana dei tempi del blues, le «dirty dozen», in cui due contendenti, senza distinzioni di sesso o età, si sfidano a parole calcando la mano su insulti e oscenità «per protestare contro la crudeltà e l’ipocrisia del mondo bianco pseudocristiano» (come scrivono Carles e Comolli in Free Jazz | Black Power del 1971).
INCROCI PUNK
Sempre a inizio 1990, dopo trentasette vittorie, il più giovane campione mondiale dei pesi massimi della storia, Mike Tyson, perde per la prima volta in carriera: lo sfavoritissimo Douglas gli strappa il titolo mettendolo addirittura KO. Superata la sconfitta, il pugile sceglie Welcome to the Terrordrome come tema musicale quando esce dagli spogliatoi con la sua crew per salire sul ring con lo sguardo concentrato, più serio e minaccioso possibile: vuole rialzarsi e queste rime dei Public Enemy tratte da un altro brano di Fear of a Black Planet sono perfette. In Italia siamo solo agli inizi del rap e, in questi anni, gli incroci sono altri, come quelli con la scena punk, da cui provengono alcuni rapper, con il variegato mondo della sinistra extra-parlamentare oppure con la satira di Avanzi (il programma condotto da Serena Dandini su Rai Tre che ospiterà vari rapper).
Non a caso, dopo l’Onda Rosse Posse, i primi a incidere dei pezzi rap in italiano si chiamano Isola Posse All Stars e si sono formati all’interno del centro sociale bolognese Isola nel Kantiere. Con Stop al panico, l’Isola Posse fa riferimento ai misteriosi misfatti della banda della Uno bianca che, in Emilia Romagna, si lascia dietro una lunga e terribile scia di sangue. Il lato B del vinile, Stop War, invece ammicca a chi sta seguendo con inquietudine e sdegno la guerra in Iraq. Se prima di questi pezzi, il rap prodotto in Italia negli anni Ottanta era in inglese e circolava tra poche centinaia di persone, ora si parla di poche migliaia ma ogni rima è urlata in italiano e il palco elettivo non è più (solo) la strada ma (soprattutto) il centro sociale occupato. Il recupero della nostra lingua da parte di questa generazione testimonia come sia fondamentale il fatto che il messaggio arrivi forte e chiaro all’ascoltatore.
C’è anche chi opta per l’uso del dialetto, e può sembrare una contraddizione quando in realtà si tratta di un semplice bilanciamento: se da una parte si sposano generi musicali nati oltreoceano, da un’altra non si vuole perdere il contatto con certe tradizioni popolari e non si vuole escludere quella parte di pubblico che non è abituata a certi ritmi e suoni ma può essere coinvolta con le parole. In questo periodo storico, la scena musicale alternativa si rivitalizza al punto che molte piccole province diventano centri nevralgici delle produzioni – come Lecce, «capitale» di reggae e raggamuffin o Catania del rock indipendente. La mappa delle occupazioni della Pantera è talmente fitta, ha coinvolto così tante facoltà, che urlare il proprio dissenso con la musica è un’esigenza sempre più condivisa e diffusa. Dalle occupazioni delle università in molti casi si passa a occupare spazi in disuso per continuare a sviluppare certe idee e magari esprimerle sopra un ritmo. Nel 1991 emergono Lou X con il suo flow che arriva dritto in faccia, i 99 Posse con il loro raggamuffin politico, i Sud Sound System con le loro rime in salentino su ritmi e suoni caraibici e tanti altri artisti, spesso con origini provinciali. Nel 1993, invece, sempre da Milano, si rifanno vivi i Casino Royale con il loro primo album in italiano, Dainamaita. Sembrano storie diverse e le sfumature ci sono, in effetti, ma sono anni in cui, anche grazie al movimento della Pantera, si respira un sentimento di condivisione straordinario.

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