A non svegliare il cane che dorme si vive più tranquilli, ma a svegliarlo ci si rende conto che è un cane e non un tappeto. Si alzerà, forse vi ringhierà contro, ma a quel punto voi avrete capito chi è. Bello o brutto che sia, sarà con lui che dovrete avere a che fare.

E siano benvenuti gli immigrati asserragliati sugli scogli di Ventimiglia, ben vengano i respingimenti delle Gendarmerie al confine francese. E ancora: sia benvenuto l’addiaccio, lo sciopero della fame, e siano benvenute le percosse dei poliziotti italiani, le mani guantate che spingono a forza uomini e donne africani dentro pullmini diretti alla stazione di Ventimiglia. Siano benvenuti i feriti, e anche i due morti che ieri sono stati trovati lungo la ferrovia francese oltre Mentone, nel tentativo forse di raggiungere un posto migliore dove a andare a rifarsi una vita. Siano i benvenuti – sia detto con tutta l’empatia possibile per la tragedia –, perché è grazie a tutto questo che ci siamo resi conto, ove mancassero dubbi, che il cane era un cane e non un tappeto: che l’Europa non ha nulla a che fare con l’amicizia tra i popoli che ne hanno siglato dei patti, ma con gli egoismi di ciascuno dei firmatari.

Dove finisce l’affare, finisce tutto: l’amicizia può tornare a essere una faccenda da Facebook e non quel vincolo di sentimenti, diritti e doveri che si stringe tra esseri umani soli o associati.

Che sia benvenuta la maschera se cade sotto i colpi di uomini in assetto antisommossa. Che anzi prosegua, lo smascheramento, e che continui giorno dopo giorno a svelare quanto si avvelena il linguaggio ogni volta che un valore si trasforma in pubblicità, un sentimento in propaganda buona per far applaudire firme messe in calce ad accordi commerciali tra stati.

Che continuino i respingimenti, che uomini e donne si buttino in mare per non essere presi. Che venga così turbata l’armonia posticcia, rotto il silenzio violento delle transazioni finanziarie. A Ponte San Ludovico, sul confine tra Italia e Francia, da qualche giorno sta succedendo qualcosa di epocale, che sarebbe ingenuo non mettere insieme alle turbolenze provocate dal nuovo corso della Grecia o delle bombe in Ucraina.
Succede lì, di fronte alle dogane abbandonate, caselli lasciati vuoti per i turisti in transito, monumenti nazionali, folklore di un’Europa di finte strette di mano.

Succede che quella stessa Europa ora finalmente spalanca le fauci, smascherata da una pedata di chi, arrivando dall’Africa, aveva creduto davvero alla propaganda. Riempie di rabbia e malinconia che a costoro spetti anche il compito ingrato di prendere la maschera, buttarla in mare e poi doversi lanciare per mettersi in salvo.