Il dado veramente è tratto, perché ora è l’African national congress (Anc) a chiedere ufficialmente e urgentemente che Zuma si faccia da parte con un anno di anticipo, per provare a risanare un’immagine incrinata dai numerosi casi di corruzione in cui il presidente sudafricano è coinvolto. Ma al termine dell’ultima maratona la crisi interna al partito di maggioranza assume sempre più toni da psicodramma di fronte al rifiuto di Zuma, che chiede da tre a sei mesi di proroga per sbrigare le ultime faccende (vedi i prossimi vertici dei Brics e dell’Unione africana). Un’ipotesi scartata non senza lacerazioni dai 112 membri del Comitato esecutivo nazionale, rinnovato dopo che Cyril Ramaphosa lo scorso dicembre ha rimpiazzato lo stesso Zuma alla guida dell’Anc.

Se ora dovesse fallire il recall, strumento che il partito utilizzò con successo con il predecessore di Zuma, Thabo Mbeki, un’evoluzione traumatica della questione sarebbe inevitabile. Lo stesso Anc si dice pronto a presentare una mozione di sfiducia contro Zuma, al quale stavolta verrebbe a mancare la maggioranza che fin qui lo ha salvato da analoghe iniziative dell’opposizione.

Ma il segretario generale del partito Ace Magashule ieri ha anche fatto capire che per i deputati di un «partito rivoluzionario» come l’Anc sarà assai difficile silurare un compagno, per quanto screditato e ingombrante sia, votando insieme all’opposizione.