Durante le celebrazioni per i 500 anni della scoperta dell’America la televisione brasiliana «Globo» costruì un enorme quadrante che contava i minuti fino al giorno dell’anniversario. Due giovani indiani hanno crivellato con le loro frecce questo «orologio dei vincitori». Quasi certamente non avevano mai letto il passo di Benjamin sui rivoluzionari del 1830 che sparano sugli orologi di Parigi, ma Michael Löwy (La révolution est le frein d’urgence. Essais sur Walter Benjamin, éditions de l’éclat) cita l’episodio come simbolo di una lettura a contrappelo della storia, dalla parte dei vinti, che è stata uno dei temi decisivi del pensiero di Benjamin. Il suo intreccio inconfondibile di teologia e rivoluzione viene posto a confronto con la teologia della liberazione sudamericana; Löwy ricorda una recensione poco nota di Benjamin a un libro di M. Brion su Bartolomeo De Las Casas, un prete che «combatte gli orrori che sono stati commessi in nome del cattolicesimo». Questo caso esemplare illustra bene la visione di Benjamin di una «teologia ribelle», piccola, brutta e che non deve farsi vedere, come scrive nelle tesi Sul concetto di storia, eppure capace di una critica dell’esistente, che la separa dalle religioni istituite.

CHE RAPPORTO HA questa tensione teologica con la rivoluzione, che per Benjamin forma con essa una diade indissolubile nella prima tesi Sul concetto di storia? Di che natura è la «debole forza messianica» che le anima? Per rispondere a questa domanda, Löwy ricorda cosa sia la rivoluzione per Benjamin: non più la locomotiva che porta avanti il progresso della storia, secondo l’immagine di Marx, ma un «freno d’emergenza», che porrebbe fine al catastrofico sfruttamento capitalista degli uomini e della natura. Un saccheggio che – se non arrestato in tempo – potrebbe portare a una desolazione senza ritorno.
Löwy, che è anche autore del libro Ecosocialisme, mette in rilievo come da questo punto di vista Benjamin trovi in noi l’ora della sua leggibilità. In quanto freno d’emergenza la rivoluzione obbedisce a due impulsi distinti e complementari: negare e trascendere la condizione disumana del capitalismo – redimere i possibili vinti ed emarginati nel passato. L’idea di rivoluzione e la teologia messianica hanno due tratti in comune: il «carattere distruttivo», che intende porre fine a ogni vincolo di signoria e servitù – e il desiderio di redenzione che vorrebbe ricomporre le vite spezzate e incompiute.
La tensione rivoluzionaria si alimenta alle immagini utopiche di un rapporto armonico con la natura, come fu descritto da Fourier, ed è presente nel «romanticismo rivoluzionario» (Löwy) di Benjamin, il quale non ha nulla di nostalgico e di regressivo. L’immagine di sogno di una felicità dell’origine, come quella che affiora nel matriarcato di Bachofen o nell’ebbrezza dionisiaca ricordata da Benjamin alla fine del suo libro Strada a senso unico, deve essere strappata alla sua natura mitica e divenire più sobria immagine dialettica. In questa il ritorno di un’immagine del passato è allo stesso tempo prefigurazione di ciò che non è mai stato, risposta all’urgenza della lotta di classe nel tempo presente.

NEL PRIMO CAPITOLO del libro la teologia rivoluzionaria di Benjamin è posta in antitesi al «capitalismo come religione» (titolo di un frammento giovanile di Benjamin), che pone il danaro e i suoi astratti enigmi come dio invisibile di un culto perpetuo. Il vivente è offerto in sacrificio e gravato di un debito-colpa inestinguibile. Nel libro sui passages di Parigi sarà invece la merce col suo feticismo a divenire il «fenomeno originante» del capitalismo, nel movimento inebriante della sua fantasmagoria. Il «radioso inferno nazista» (Benjamin) e la frenesia fascinatoria delle merci non sono che la contraffazione, il distorcimento e la rivoluzione passiva del desiderio rivoluzionario. Löwy ricorda come nel saggio sul surrealismo Benjamin rivendichi la necessità di conquistare alla rivoluzione le forze dell’ebbrezza, che negli anni Trenta venivano strumentalizzate dal fascismo e inchiodate a una radice di terra e di sangue, verticalizzate in un ordine chiuso; laddove per Benjamin l’ebbrezza significa dissoluzione dei vincoli di potere e dell’Io rigido forgiato al loro servizio. Alla disgregazione psicofisica che accompagna il capitalismo e il fascismo, Benjamin oppose il suo concetto di rivoluzione antropologica, che non mira a un rapporto di dominio sulla natura, ma «al dominio del rapporto fra natura e umanità».