L’ex agente Cia Khalifa Haftar ci riprova. Il tentativo di riprodurre in Libia il colpo di stato militare egiziano del 3 luglio 2013 segna un punto a favore dell’ex generale. Questa volta Abdel Fattah al-Sisi, il presidente eletto da una manciata di egiziani nel maggio scorso, non solo è venuto in soccorso del militare con bombardamenti aerei su Bengasi ma ha ormai acquisito una credibilità internazionale che prima non aveva, dopo i colloqui a margine dell’Assemblea delle Nazioni unite dello scorso settembre con il presidente Usa Barack Obama e il riconoscimento del suo ruolo centrale per la stabilità in Medio oriente da parte delle diplomazie europee.

Un rafforzamento della presenza egiziana in Libia potrebbe però concretamente portare alla secessione della Cirenaica che a quel punto sarebbe sotto la stretta influenza delle autorità egiziane. E così, sebbene sul campo la partita tra militari e islamisti è ancora da giocare, Haftar, appoggiato anche dai miliziani di Zintan, puntando sul controllo del Parlamento di Tobruk e del premier Abdullah al-Thinni, che prende costantemente ordini dal Cairo, ha potuto gridare vittoria. Secondo Haftar, l’offensiva contro Bengasi ha dato «risultati soddisfacenti». «Giovani di Bengasi, non lasciatevi andare a rappresaglie e vendette contro i miliziani di Ansar», ha detto l’inaffidabile generale dagli schermi dei media pubblici.

Il militare in pensione controllerebbe l’aeroporto di Bengasi e avrebbe iniziato la sua marcia verso la capitale. Ma almeno trenta sono i morti nei bombardamenti degli ultimi giorni nel tentativo di liberare Bengasi dai jihadisti. I miliziani di Ansar al Sharia, responsabili dell’attentato al consolato della seconda città libica costato la vita all’Ambasciatore degli Stati uniti Chris Stevens proprio l’11 settembre del 2012, avevano dichiarato la nascita dell’Emirato di Bengasi lo scorso luglio, dopo aver conquistato le principali basi militari cittadine. Nelle scorse settimane si erano viste proprio nel capoluogo della Cirenaica sventolare le bandiere nere dello Stato islamico (Isis). I jihadisti di Ansar coltivano legami stabili con i miliziani di Misurata, la brigata 17 febbraio e i Fratelli musulmani libici, che controllano il parlamento di Tripoli e rivendicano la legittimità del governo guidato da Omar al-Hassi.

Dopo i bombardamenti, alcuni miliziani di Ansar hanno lasciato le basi di Bengasi e sono iniziati scontri con la popolazione locale nel quartiere di al-Masaken. I raid libico-egiziani hanno colpito anche Derna, a ovest di Bengasi. Sabato scorso, il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon ha fatto visita a Tripoli, insieme all’Alto rappresentante della politica Estera in pectore dell’Ue, Federica Mogherini, proprio alla vigilia della controffensiva di Haftar.

Mentre il conflitto libico diventa sempre più incandescente, non si placa il dramma di profughi e sfollati in Libia. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) sono quasi 300 mila gli sfollati nel paese. L’inasprirsi del conflitto tra gruppi armati rivali in molte aree ha costretto un numero crescente di persone alla fuga. L’Unhcr stima che al momento ci siano 287 mila sfollati in 29 città e villaggi, ma la principale area interessata è situata alla periferia di Tripoli, a Warshefana, dove i combattimenti hanno spinto circa 100 mila persone a fuggire nelle ultime tre settimane. La maggior parte degli sfollati vive presso famiglie del luogo, ma le capacità di accoglienza delle comunità locali sono ridotte e gli sforzi d’assistenza sono ostacolati da un accesso limitato per gli operatori umanitari alle città colpite dagli scontri.

Secondo l’Unhcr, la detenzione di rifugiati e migranti – questi in fuga dalle guerre e dalle crisi dell’Africa dell’interno che «confina» con il grande deserto libico – ha spinto molti a «mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti per cercare di arrivare in Europa», fuggiaschi anche dalle condizioni di detenzione gestiti ora da malavita e milizie, nelle quali sono finiti. Degli oltre 165 mila rifugiati arrivati sulle coste europee nel corso dell’anno, la maggioranza è partita dalla Libia e di questi il 48% sono siriani ed eritrei. E così il Mediterraneo continua a restituire i corpi delle vittime dei naufragi delle ultime settimane. Nei giorni scorsi, decine di cadaveri di migranti – che a quanto pare non fanno nemmeno più notizia – sono arrivati sulla terraferma in una zona a ovest di Tripoli. Lo riferisce Rami Abdo, dell’Osservatorio euro-mediterraneo per i diritti umani.