Mentre è sotto gli occhi di tutti il disastro della guerra in Afghanistan, nell’anniversario delle Twin Towers riandiamo con la memoria all’altro triste, coincidente, anniversario Usa: all’11 settembre del 2012 quando l’ambasciatore americano in Libia venne ucciso a Bengasi.

Perché è un dossier che è rimasto aperto, per i danni che ha provocato e perché gli interrogativi su quella tragedia restano, nonostante le risposte ufficiali a dir poco reticenti, tutte aperte. Come resta nel caos la crisi libica che, dopo l’uccisione di Gheddafi nell’ottobre 2011, ha visto una guerra infinita tra centinaia di milizie, la spartizione del Paese petrolifero in zone d’influenza e una guerra per procura continentale. Solo pochi giorni fa milizie salafite hanno occupato un ministero a Tripoli, mentre Italia, Ue e Usa parlano di «stabilizzazione».

Cosa rappresentò l’uccisione dell’ambasciatore americano a Tripoli nel 2012? Un rovescio che cadde subito sull’Amministrazione Usa, sul presidente Obama e sulla segretaria di Stato Hillary Clinton, nonché sulla Cia.
E che precipitò sulle elezioni statunitensi, con il New York Times che non perdeva occasione di ricordare alla candidata in pectore Hillary, la sua posizione spericolata, favorevole alla guerra di fronte ad un recalcitrante Obama.

Perché? Perché Chris Stevens era stato l’ex agente di collegamento con i jihadisti che abbatterono Gheddafi grazie ai raid della Nato. E quando un anno dopo, cadde in una trappola degli integralisti islamici già alleati e venne ucciso con tre uomini della Cia, Hillary Clinton precipitò, dalla carica nell’Amministrazione a quella di candidata; e venne dimissionato l’allora capo della Cia David Petraeus (con la scusa di un «adulterio»).

Chris Stevens non era un diplomatico qualsiasi, era diventato l’inviato nell’area degli Stati uniti, cresceva la sua figura all’ombra di Hillary Clinton come quella di Richard Holbrooke era cresciuta con Bill Clinton «grazie» alle guerre nei Balcani.

Si parlava di lui come nuovo Segretario agli esteri. Hillary Clinton uscì di scena non per «incapacità a gestire le mail», ma perché, inconsapevole della deriva costruita con accordi con gli integralisti islamici, non aveva adeguatamente protetto il «suo» uomo e gli interessi degli Usa. Impietose furono le parole di Obama a commento del rovescio libico: «Per noi è stato uno shock shit» (Abbiamo fatto una figura di merda).