I Benetton fuori da Autostrade per l’Italia. L’obiettivo di Conte e di buona parte della maggioranza – M5s, Leu e la parte prevalente del Pd – sarà portato a casa non prima di un anno. Entro qualche settimana però la famiglia veneta, diventata il simbolo della strage del ponte Morandi di quasi due anni fa, non sarà più nel consiglio di amministrazione della società.

È il risultato principale del consiglio dei ministri notturno conclusosi all’alba di ieri. Lo spauracchio della revoca delle concessioni ha portato Atlantia e i Benetton stessi ad accogliere in pratica tutte le richieste di Conte impegnandosi, con quattro lettere firmate, ad un lungo percorso che farà di Aspi una public company controllata da Cassa Depositi e Prestiti. Si tratta quindi della prima nazionalizzazione di una società così grande, privatizzata nel 2003 dall’allora governo Berlusconi. Una nazionalizzazione che però non riguarda un’azienda in crisi, visto che Aspi risulta monopolista e con prospettive di crescita floride, come dimostrano gli interessi di parecchi fondi esteri e dell’australiana Macquarie.

IL COMPROMESSO TROVATO permette anche di evitare ricorsi giudiziari e di dare continuità all’azienda e ai suoi 7.300 dipendenti fra addetti diretti di Aspi e delle controllate Pavimental e Spea. In più rimangono gli impegni ad abbassare le tariffe, aumentare gli investimenti in manutenzione ed alzare i risarcimenti per i parenti delle vittime e i costi per la ricostruzione del ponte di Genova che verrà inaugurato a breve.

Nel giro di qualche settimana- si cercherà prima del secondo anniversario del crollo e dell’inaugurazione del nuovo – si terrà l’aumento di capitale di Aspi dedicato a Cassa depositi e prestiti. Cpd in questo modo arriverà alla maggioranza in Autostrade per l’Italia – anche se in serata dal Mef si ipotizzava il solo 33%. Interverranno poi altri soci graditi a Cdp: l’altro fondo pubblico F2i e gli australiani di Macquarie con l’acquisto diretto di quote ora detenute da Atlantia. Lo holding a maggioranza Benetton si è impegnata a non distribuire dividendi per questi ricavi.

Poi le ulteriori azioni di Aspi rimaste in mano ad Atlantia dovrebbero essere ridistribuite pro-quota tra i soci della holding, procedura inusuale a livello societario ma concordatta con il governo. E quindi alla famiglia Benetton rimarrà solo la quota cosiddetta «in trasparenza», attraverso la holding Atlantia.

SE LA QUOTA DI ASPI RIMASTA ad Atlantia – dopo l’ingresso di Cdp e altri soci – fosse ridistribuita tra tutti questi soggetti, alla famiglia di Ponzano Veneto potrebbe rimanerne una percentuale inferiore al 10-15%, che ne determinerebbe la mancata rappresentanza in Consiglio di amministrazione e la conseguenza uscita dalla stanza dei bottoni, da sabato fissata come condizione da Conte, M5s e Leu per evitare la revoca della concessione.
Il passaggio ulteriore sarebbe l’uscita definitiva dei Benetton nel giro di un anno. Anche i piccoli azionisti si ritroverebbero in mano i titoli di Autostrade e potrebbero decidere a quel punto che farne: mantenere in portafoglio la società (a quel punto fuori dalle secche della polemica politica) o liquidarla.

[do action=”citazione”]Il percorso di uscita della famiglia sarà però lungo un anno con passaggi intermedi e cessione di azioni. Ma da subito non saranno più nel Cda della società prima controllata[/do]

RIMANE POI L’IMPEGNO DI ASPI – con o senza i Benetton – a rinunciare a 3,4 miliardi: l’importo a proprio carico per le riduzioni tariffarie (1,5 miliardi), gli interventi di manutenzione fino al 2024 (1,2 miliardi) e la ricostruzione del viadotto sul Polcevera (700 milioni).

Tutto bene? Non proprio. I termini dell’accordo non sono stati resi pubblici e così i tempi dei vari passaggi per arrivare all’uscita dei Benetton dal capitale di Aspi. Il punto interrogativo maggiore è sull’esborso che Cdp dovrà mettere sul piatto nell’aumento di capitale per avere la maggioranza di Aspi. Gli analisti lo stimano in 3-4 miliardi.

IN BORSA IERI IL TITOLO ATLANTIA ha chiuso con un guadagno del 26,65% a 14,49 euro, dopo avere scambiato quasi 18 milioni di azioni, pari a quasi il 2,2% del capitale. Ha più che recuperato gli 1,7 miliardi di euro persi lunedì scorso (-15,19% a 11,36 euro). Il balzo compiuto supera anche la debacle del 16 agosto 2018 (-22,25%) all’indomani del crollo del Ponte Morandi a Genova, ma con un prezzo ben al di sotto dei 18,3 euro di allora.

POSITIVE LE REAZIONI SINDACALI. «Abbiamo da sempre auspicato un accordo tra le parti – commenta il segretario generale della Filt Cgil Stefano Malorgio – . La nostra non è mai stata una posizione preconcetta di salvaguardia di un’impresa, ma abbiamo sempre guardato alla complessità della situazione occupazionale e aziendale ed all’interesse del paese e dei cittadini. Aspi – spiega – non è composta infatti solo dai lavoratori diretti, ma ci sono anche i lavoratori delle società controllate che fanno manutenzione, progettazione, servizi amministrativi, informatici e pulizie delle aree di servizio e gli stagionali. Ora dal governo – sottolinea Malorgio – ci aspettiamo di essere informati direttamente sulle decisioni prese ed in ogni caso, nella fase di transizione, avremo la massima attenzione affinché siano garantite tutele ed occupazione di tutti i lavoratori».