L’avventura coreana ha rafforzato la posizione di Trump, ma le sue peripezie non sono finite. Qualcosa è sembrato anche trasparire dalle dichiarazioni fatte dopo l’annuncio dell’assegnazione dei Mondiali di calcio 2026 a Stati uniti, Messico e Canada.

Trump ha detto di vedere l’evento come una grande opportunità per gli Usa, ma non ha fatto accenno ai suoi rapporti con entrambi gli stati confinanti, estremamente compromessi per via del muro che The Donald vuole erigere tra gli Usa e il Messico, dei dazi che vuole imporre al Canada e per la revisione dell’accordo nordamericano per il libero scambio, Nafta, che il presidente statunitense vorrebbe dividere in due accordi separati.

ANCHE I RAPPORTI con quello che è ormai lo strano compagno di letto americano, la Russia di Putin, non gli dà soddisfazioni; il presidente russo, infatti, attraverso il suo ministro degli esteri Lavrov, ha fatto sapere che rientrare nel G8, come suggerito pubblicamente da Trump, non interessa alla Russia, che crede maggiormente nella formula del G20. Putin si è comunque detto pronto a incontrare Trump «appena gli americani saranno pronti».

Grattacapi arrivano anche dal fronte interno: il procuratore generale di New York, Barbara Underwood, ha intentato causa contro The Donald e tre dei suoi figli per uso illecito dei fondi di beneficenza della Fondazione Trump, riferendosi sia alla campagna elettorale del 2016 che a transazioni autonome fatte a vantaggio degli interessi personali e commerciali di Trump.

LE ACCUSE hanno provocato la stizza del presidente che ha definito la causa come politicamente motivata. «Gli squilibrati democratici di New York, e il loro disonorevole (e scappato dalla città) procuratore Eric Schneiderman – ha scritto The Donald su Twitter – stanno facendo tutto il possibile per farmi causa riguardo una fondazione che ha incassato 18.800.000 dollari e ha dato in beneficenza più denaro di quello che ha preso, 19.200.000 dollari. Non risolverò questo caso!».

E in un altro tweet ha aggiunto: «Schneiderman, che ha diretto la campagna di Clinton a New York, non ha mai avuto il coraggio di portare questo caso ridicolo, che si è protratto nel loro ufficio per quasi 2 anni, ora si è dimesso dal suo ufficio in disgrazia, e i suoi discepoli lo portano avanti».

Anche nella lotta apparentemente senza fine legata alle elezioni del 2016 é stata sganciata un’altra bomba: Il Dipartimento di Giustizia ha pubblicato un rapporto dove si dice che l’ex direttore dell’Fbi, James Comey, riguardo la gestione delle indagini sul server di posta elettronica di Hillary Clinton, il cosiddetto emailgate, «non rispettò il protocollo, ma non fu neanche politicamente di parte». Le 500 pagine del rapporto criticano Comey per non aver tenuto adeguatamente informati Loretta Lynch, allora ministro della Giustizia, e altri alti funzionari del ministero, riguardo il modus operandi con cui stava gestendo l’inchiesta: importante passo falso in uno dei casi più politicamente carichi nella storia dell’Fbi.

COMEY ha quindi sicuramente sbagliato decidendo di non coordinarsi con i suoi superiori al Dipartimento di Giustizia nei momenti chiave dell’indagine, ma non perché motivato da pregiudizi politici, come invece Trump e i suoi alleati conservatori continuano a sostenere.