La nascita del governo palestinese di unità nazionale e la fine della spaccatura politica tra la Cisgiordania sotto il controllo del presidente Abu Mazen e la Striscia di Gaza nelle mani del movimento islamico Hamas, è stata accolta con soddisfazione dalla popolazione dei Territori occupati. Erano in migliaia ieri pomeriggio riuniti in ristoranti e caffè a seguire la diretta televisiva da Ramallah della cerimonia di giuramento del esecutivo. Intervistati dalle televisioni di tutto il mondo, tanti palestinesi hanno espresso l’auspicio che la riconciliazione tra Fatah e Hamas sfoci in una nuova stagione per la politica nazionale. L’euforia generale non ha impedito la riflessione sul significato di questo sviluppo atteso per sette anni e sugli obiettivi del nuovo governo. Omar Barghouti, analista politico e attivista dei diritti umani, sostiene che i dirigenti palestinesi ora hanno un’occasione unica per definire una programma politico volto a contrastare sul piano internazionale l’occupazione israeliana. Allo stesso tempo aggiunge di avere seri dubbi sulle intenzioni di Fatah e Hamas. Lo abbiamo intervistato ieri sera.

La riconciliazione è fatta e il nuovo governo è al suo primo giorno di vita. Cosa significa per le aspirazioni palestinesi?
Significa che i dirigenti palestinesi hanno la possibilità di parlare con un’unica voce per chiedere il rispetto della legalità internazionale in questa terra. Potranno, se lo vorranno, portare lo Stato di Israele davanti ai giudici internazionali in modo che sia giudicato per le sue politiche che violano i diritti nazionali ed individuali. Avranno lo spazio giusto per rivolgersi alle Nazioni Unire per reclamare la realizzazione dell’aspirazione dei palestinesi alla libertà e potranno far sentire la loro voce in ogni agenzia e istituzione internazionale.

E lo faranno?
No, purtroppo. Non lo faranno. Questo governo non nasce sulla base di principi riconosciuti da tutti i palestinesi e certo non sul desiderio di far riferimento al diritto internazionale. Questo appena nato è un esecutivo figlio della debolezza delle parti coinvolte, di due movimenti (Fatah e Hamas, ndr) che oltre le dichiarazioni di facciata sono ancora distanti tra di loro e che per ragioni di opportunità politica, per sopravvivere, hanno dovuto trovare un compromesso. I principi sono stati piegati alle esigenze della politica.

Parliano di Hamas. Il movimento islamico ha sempre contestato la collaborazione tra i servizi segreti dell’Anp e quelli di Israele che, peraltro, hanno pagato soprattutto i suoi militanti e simpatizzanti in Cisgiordania. Ora esalta un governo che non respinge la cooperazione di sicurezza con Israele.
Hamas non è diverso dalle autorità in Cisgiordania, agisce per i suoi interessi e su questo fonda le sue politiche. Di fronte all’isolamento in cui è stato tenuto nella prigione di Gaza, conseguenza delle misure punitive israeliane e degli sviluppi politici regionali, ha deciso di tendere la mano ad Abu Mazen. Presto si renderà conto che dalla piccola prigione di Gaza si è trasferito nella grande prigione della Cisgiordania.

Sono giudizi molto netti, quanto sono condivisi dalla popolazione palestinese. Girando per le strade dei Territori occupati si direbbe poco
I festeggiamenti di queste ore, i giudizi positivi della gente non mi sorprendono. La riunificazione politica tra Cisgiordania e Gaza è importante. Tuttavia i palestinesi sanno di dovere fare i conti ogni giorno con un’occupazione molto dura, con un’oppressione incessante e che si manifesta in tanti modi. Per questo se oggi gioiscono, domani faranno sentire la loro voce per reclamare i loro diritti. La riconciliazione è un buon risultato ma non può avvenire ad ogni costo, deve avere come suo scopo il conseguimento di risultati fondati su principi comuni a tutti i palestinesi e non su ragioni di opportunità politica.