Provate a mettervi nei panni di Ben, sedicenne che vive in un paese della provincia (potrebbe essere in ogni luogo) dove non c’è nulla da fare se non inventarsi l’apparizione di un Ufo, bere qualche birra di troppo e fare gitarelle al lago a bordo di uno sgangherato furgoncino Volkswagen.

In più, Ben ha anche sulle spalle un nonno affetto da demenza senile. È lui il suo badante, il nipote tuttofare che lo coccola controvoglia, gli offre il passatempo preferito – riviste da spezzettare per disegnare cieli azzurri sulle pareti di casa -, lo veste, lo nutre e se lo porta dietro, ovunque vada. Un tempo, con lui, coltivava fiori e piante nella serra: certo, Ben faceva il giardiniere sognando di diventare meccanico, ma era pur sempre meglio di niente. Ora, invece, tutto è più difficile. Nella sua vita circolano ricordi amari (la morte del padre in Africa quando lui era bambino), abbandoni distratti (una madre sempre in giro, cantante di jazz senza successo) e molta noia.
Accadrebbe a chiunque di «odiare la propria vita» in condizioni così poco avventurose.

Lo scrittore e sceneggiatore svizzero Rolf Lappert – qui al suo terzo romanzo – offre ai lettori intorno ai 15 anni la sua «ballata triste», condita dalle battute fulminanti di Ben, adolescente alle prese con la vita che gli sfugge dalle mani e prende il suo corso. Pampa Blues (Feltrinelli, pp.224, euro 14) è un romanzo che si dipana a macchia d’olio, con un andamento secco e una scrittura senza fronzoli, seguendo e mettendo in immagine, come in un film, i pensieri di Ben e quelli di una comunità eccentrica che combatte la monotonia e l’anonimato a cui è costretta a colpi di piccole follie e trasgressioni, omicidio compreso. Fino all’arrivo di Lena, la «giornalista» munita di macchina fotografica e costretta a fermarsi in paese perché la sua Luise – l’automobile – non ne vuole sapere di rimettersi in moto.

È giovane, di età indefinibile, misteriosa e, scoprirà poi Ben, non fa nemmeno la giornalista. È lì per un altro motivo, ben più profondo e urgente: viaggia alla ricerca delle sue radici affettive, non conosce suo padre e non vuole sprecare altro tempo.

L’incontro tra due «orfani» fa scoccare la scintilla, nonostante ci sia qualche anno di differenza e nonostante Ben sia minorenne, pur se molto più maturo di quel che racconta l’anagrafe su di lui. Non c’è un vero e proprio happy end, la vita a Wingroden non ammette grandi cambiamenti. Sarebbe fantascientifico anche solo pensarlo, tutto resta su per giù uguale, ma lo stato d’animo muta e quando ritroviamo il protagonista un anno dopo, lo scopriamo «adattato», meno astioso, innamorato e con un futuro da immaginare, anche fuori da quel buco di paese allucinato. Magari sulle strade dell’Africa, dove si è perso quel padre esploratore, studioso di animali e precipitato con l’aereo mentre tentava di tornare a casa, da sua moglie, che forse non amava nemmeno più.