Se c’è un artista che è in grado di dimostrare che la musica fatta “alla vecchia maniera”, con strumenti a corda o a percussione, tecnica e sudore è ancora viva e non ha mollato la presa sulla realtà in un momento in cui sembra che il mondo sia da tutt’altra parte, si tratta di Ben Harper. Il cantautore californiano (figlio di musicisti e cresciuto in un negozio di strumenti musicali) lo ha sempre fatto negli oltre vent’anni di carriera e continua a farlo senza mai usare effetti speciali o trovate teatrali: gli basta, come si è visto nella data romana del tour, un palco con pochissimi fronzoli e la sua enorme capacità di raccontare storie e suscitare emozioni. La “musica del diavolo” mostra di essere viva e vitale nelle sue mani e di avere ancora un futuro davanti a sé. In un momento storico e culturale come questo, in cui le novità sembrano provenire da territori sonori lontanissimi da quelli ascoltati in questo concerto, la sincerità e la spontaneità del cantautore californiano mostrano che è ancora possibile usare il linguaggio del blues e del rock per interpretare il presente, a patto di affrontarlo con onestà e schiettezza. Il cuore dell’intensità dei concerti di Ben Harper è legato proprio alla sensazione di avere davanti un interprete che vive profondamente ciò che canta e che, anche con qualche timidezza, ma senza alcuna esitazione, mostra al pubblico il proprio animo senza alcun filtro e senza alcun artificio.

Harper ha costruito la sua lunga e fortunata carriera in studio e dal vivo sulla potenza e sulla capacità evocativa della sua musica, e su nient’altro: per la gran parte delle sue esibizioni, suona seduto con una delle sue fidate chitarre lap steel sulle gambe (tra cui spicca uno spettacolare modello in alluminio fabbricato dalla milanese Noah Guitars), uno slide nella mano sinistra e pochissimi effetti. Anche il pubblico che riempiva quasi completamente la cavea dell’Auditorium è rimasto stregato dal fascino e dal potere ipnotico della mistura di blues, soul e rock con una spruzzata di reggae e pop che Harper mette nei suoi pezzi e gli ha tributato un lunghissimo applauso al termine del concerto.

NEGLI ULTIMI anni, Ben si è esibito spesso insieme al leggendario armonicista blues Charlie Musselwhite, ma nelle date europee di questo tour, ad accompagnarlo ci sono solo gli Innocent Criminals, la sua band storica, composta da Juan Nelson al basso, Leon Mobley alle percussioni e Oliver Charles alla batteria. I tre costituiscono una solidissima base ritmica sincronizzata al millimetro e con una compattezza e una precisione invidiabili. Su questo tessuto sonoro, Harper può lavorare con la sua chitarra mai troppo invadente o egocentrica, ma, allo stesso tempo, mai banale, e con la sua voce che passa dal sussurro al falsetto senza perdere nulla della sua intensità come si è visto nel momento migliore della serata, quando durante Diamonds on the Inside, Harper si è allontana dal microfono e canta un’intera strofa della canzone senza l’aiuto dell’amplificazione, con tutto il pubblico che ascolta rapito e in assoluto silenzio.

LA SERATA si è aperta con un’ottima esecuzione di Excuse Me, Mr., seguita da Burn One Down, entrambe tratte da uno dei suoi album migliori, Fight for your mind del 1995, ed è proseguita con una collezione dei suoi migliori pezzi che hanno entusiasmato il pubblico, sia nei momenti più potenti come Please Bleed o Glory and Consequence, sia in quelli più intimi e delicati come Forever o Walk Away o come la splendida Welcome to the Cruel World (title track del suo primo album) che ha chiuso una serata emozionante.