È stata un’altra giornata straordinaria, questa domenica di ferragosto, per la Bielorussia. Tutto un paese si è mosso pacificamente ma determinato per mettersi alle spalle un passato che non vuole passare.

A Minsk la folla che manifesta per le dimissioni di Lukashenko è un fiume che scende per tutte le vie principali, ma in tutte le cittа lo spettacolo è lo stesso: migliaia e migliaia di persone in piazza che chiedono di voltare pagina. Salihorsk cittadina mineraria a sud di Minsk, dove tutti sono in piazza, è diventata un altro dei simboli di questa battaglia per la democrazia. Qui i minatori sono scesi in sciopero già da martedì scorso quando il terrore dei reparti antisommossa sembrava incontrastato, dando un segnale di resistenza a tutto il paese.

Eppure la giornata era cominciata con foschi presagi. Giа sabato sera Lukashenko, a seguito di una telefonata con Putin, diramava un bellicoso comunicato: “Quando si tratta di una faccenda militare, abbiamo un accordo con la Federazione Russa nell’ambito dello Stato dell’Unione di Difesa. E questo è uno dei momenti che si adatta a questo accordo. Pertanto, oggi ho avuto una conversazione lunga e dettagliata con il presidente della Russia sull’attuale situazione. Devo dire che sono rimasto anche un po’ sorpreso: è assolutamente al corrente di ciò che sta accadendo. E siamo d’accordo: alla nostra primissima richiesta, verrà fornita un’assistenza completa per garantire la sicurezza della Bielorussia”.

La sensazione è che si tratti di un bluff per intimidire l’opposizione. Difficile veramente credere che il presidente russo voglia ripetere – nell’Europa del XX secolo e contro un popolo tanto pacifico – ciò che successe a Praga nel ’68. Lukashenko annuncia anche una “grande manifestazione” dei suoi fedelissimi per il giorno dopo, alla stessa stesso ora in cui di deve tenere l’happennig contro di lui.

E stamane sono arrivati veramente i sostenitori di Lukashenko, organizzati in decine di torpedoni dai direttori delle loro aziende, soprattutto dalle province più sperdute del paese. Si tratta di povera gente che ha paura di perdere il lavoro, terrorizzata dall’idea di uscire dal mondo ovattato di un paternalismo tardosovietico e incoscientemente di essere usata per imbastire una provocazione.

Saranno 15 mila, ma gridano con poca convinzione “Sasha, Sasha!” quando Lukashenko sale sul palco. Ma il presidente ha perso smalto, appare impaurito: afferma che le elezioni non si rifaranno, che alla frontiera ci sono le truppe Nato pronte a entrare nel paese, che stanno per arrivare tempi duri ma “che voi, il popolo, mi aiuterete a superarli”. Difficile davvero pensare che questa piccola folla che riprende mestamente gli autobus dopo la passeggiata nella capitale possa rappresentare una ridotta della resistenza.

L’opposizione non cade nella trappola. Attraverso i canali telegram c’è il tam tam: attendiamo che se ne vadano! Si tratta di un popolo in marcia: senza paura i genitori portano con sé i bambini sulle spalle, è un popolo sorridente. Nelle piazze gli adolescenti hanno portato le chitarre, si sentono perfino risuonare le note delle canzoni pacifiste americane degli anni’ 60.

Ci sono anche dei segnali di scricchiolamento dell’apparato statale. In molte aziende statali i direttori sembra che siano in contatto con i leader dei lavoratori in sciopero per cercare di poter uscire indenni dalla bufera che si annuncia in caso di crollo di Lukashenko. E circola il video di Igor Leshchenya, ambasciatore della Bielorussia in Slovacchia, che senza dimettersi si schiera con la protesta: accusa il governo di aver “voluto trasformare la pacifica Bielorussia del XXI secolo in un tritacarne in cui far rivivere le persecuzioni staliniane” e chiede un futuro democratico per il paese.

La situazione resta sospesa. Da domani ripartirà, si percepisce, un movimento di scioperi ancora più possente di quello che si è visto giovedì e venerdì.

La scommessa di Lukashenko è quella di attendere, sperare che il movimento rifluisca, restando aggrappato al potere. Ha minacciato i lavoratori: “Scioperate quanto volete ma restate lontani dalle aziende”. Un invito che ben pochi seguiranno. E circolano anche volantini di comitati di lavoratori che propongono una soluzione di sinistra alla crisi: “Finché ci fidiamo ciecamente dei politici e cerchiamo di elevarli alla presidenza sulle nostre spalle, finché ascoltiamo i consiglieri dall’estero, come protestare e per cosa, saremo una folla cieca che agirа nell’interesse degli altri. Il nostro interesse è impedire ai manager nostrani e stranieri, dall’Ovest che dall’Est, decidano per noi”, vi è scritto.

Dietro le quinte è probabile che Putin stia cercando di trattare con la Ue per una soluzione vellutata dalla crisi. Lo spazio è stretto perché è difficile che a Bruxelles in questo momento vogliano fargli degli sconti.