Di Elisabetta Belloni, una vita alla Farnesina, si parla da diversi giorni: prima come possibile successore di Mario Draghi a Palazzo Chigi, poi comepresidente della repubblica. Sarebbe la prima donna in entrambe le cariche. Per lei, nata a Roma nel 1958, vedova di un collega ambasciatore scomparso nel 2017 (Giorgio Giacomelli), liceo al Massimo (l’istituto gesuita frequentato anche da Draghi) e laurea in scienze politiche alla Luiss, non sarebbe una novità: è già stata la priam donna capo di gabinetto di un ministro degli Esteri (Paolo Gentiloni, nel 2015), segretario generale della Farnesina (dal 2016 al 2021). E infine la prima a guidare i servizi segreti, nominata pochi mesi da Mario Draghi, al posto di Gennaro Vecchioni, che era stato scelto da Giuseppe Conte. Luigi Di Maio la considera «mia sorella», così ha scritto in un messaggio ai compagni di partito invitando a «non bruciarla».

Anche se ha preso il posto a capo degli 007 di un fedelissimo di Conte, è il M5S il partito che più la spinge al Quirinale. Anche se le sue amicizie e relazioni vanno ben oltre, come conferma la grande stima che ne ha Gentiloni. Ma è proprio il suo attuale ruolo nell’intelligence il principale ostacolo per il Quirinale. «In una democrazia compiuta nel 2022 il capo dei servizi segreti in carica non diventa presidente della Repubblica», lo stop secco di Matteo Renzi, condiviso da Forza Italia, Leu, e da gran parte del Pd. E del resto proprio nelle fila dem il nome di Belloni (che pure da giorni è entrato nella rosa informale del centrosinistra) è stato oggetto di commenti del tipo: «È bravissima, ma solo in Russia o in Egitto di passa dai servizi a capo dello Stato».

Ieri il suo nome è esploso dopo il vertice a tre Letta, Conte e Salvini, col leghista che all’uscita ha annunciato: «Sto lavorando per una presidente donna», subito seguito dall’avvocato del popolo: una evidente sgomitata per mettere il cappello sulla possibile scelta. Seguito anche un trionfante tweet di Beppe Grillo. Ok anche da Meloni, Letta invece è stato assai più prudente, e in queste ore sta lavorando a profili femminile alternativi, come quello della ministra della Giustizia Marta Cartabia o della ex guardasigilli Paola Severino, sgradita a Forza Italia per la sua legge che portò alla decadenza di Berlusconi.

Non proprio una donna di sinistra, Cartabia, legata da anni a Cl. Anche lei prima donna alla guida della Corte costituzionale, tra il 2019 e il 2020, molto stimata da Mattarella, con Draghi invece c’è stata qualche freddezza in questo anno di governo. Le sue riforme della giustizia sono riuscite a tenere insieme una maggioranza che sul tema ha idee assi diverse, quella del Csm è ferma, i maligni dicono che in questa fase lei stessa non abbia voluto accelerare per non scontentare nessuno, considerandosi da tempo quirinabile. La sua riforma della prescrizione non è piaciuta per nulla al M5S, che non l’ha mai voluta né a palazzo Chigi e meno che mai al Quirinale. Su di lei (votata da giorni dal gruppo di Calenda) si stanno concentrando le preferenze di chi considera la doppia uscita di Salvini e Conte una «fuga in avanti che rischia di bruciare ogni possibile intesa», come recita una nota del Pd che parla di un confronto tra le forze politiche «che comprende anche candidature femminili di assoluto valore». Una netta frenata.

Su di lei girano da giorni ritratti agiografici, che la raccontano come una lady di ferro, una stakanovista che arriva in ufficio alle 7.30 dopo un’ora di camminata nella Roma deserta e parla quattro lingue, ma anche appassionata dei suoi cani alsaziani e dell’orto che cura personalmente nel buen retiro di campagna nell’aretino. Tra i plus che vengono indicati anche non avere «nessuna matrice politica»
A capo dell’unità di crisi della Farnesina, nel 2004 si è subito occupata del dramma dello tsunami nel sudest asiatico, poi il rapimento di Giuliana Sgrena e l’uccisione di Nicola Calipari in Iraq, e ancora il rapimento di Daniele Mastrogiacomo in Afghanistan. Dopo il caso Regeni, a domanda della commissione parlamentare se l’Egitto fosse un paese sicuro, ha detto: «Dipende. Io vado come funzionario, diverso è se si vanno a fare certe attività di ricerca “invasive” rispetto a un ordinamento diverso dal nostro».