Tra convegni e musei, la moda torna a parlare di cultura. Mentre al Metropolitan di New York prosegue con successo Death Becomes Her: a Century of Mourning Attire, la mostra sulla moda da lutto recensita su ManiFashion del 5 luglio (fino al 1 febbraio 2015) e il Victoria and Albert Museum di Londra annuncia per marzo l’edizione ampliata di Savage Beauty, la retrospettiva su Alexander McQueen originata dal Met Museum nel 2011, al MAXXI di Roma sta per aprire i battenti Bellissima. L’Italia dell’alta moda (2 dicembre – 3 maggio 2015), a cura di Maria Luisa Frisa, Anna Mattirolo, Stefano Tonchi.

Lontana dalla celebrazione e dal senso «più poveri ma belli» che, molte volte, stringe in un sentimento nostalgico le mostre sulla moda, Bellissima, che nel titolo cita il film di Luchino Visconti, espone 80 abiti realizzati tra il 1945 e il 1968 da Schubert, Sorelle Fontana, da Germana Marucelli, Mila Schön, Capucci, Valentino, Galitzine e altri e li affianca alle opere che negli stessi anni hanno dialogato con la moda, come quelle di Lucio Fontana, Alberto Burri, Massimo Campigli, Carla Accardi, Giuseppe Capogrossi, che non hanno il compito di nobilitare i vestiti ma semplicemente quello di ristabilire un discorso compiuto di una cultura che era pronta a dipanarsi nei settori più vari della creatività.

Un approccio finalmente singolare per una mostra di moda che, scrive Maria Luisa Frisa nella presentazione della mostra, legge con la lente dell’indagine e dell’analisi «il periodo lungo e compresso che oscilla tra la ricostruzione di un paese sulle macerie della guerra e la radicale messa in crisi del sistema di valori costruito in quegli anni», cioè quegli anni in cui senza steccati ideologici viziati dallo snobismo della cultura ufficiale, «cinema, arte, letteratura, design si intrecciano in una straordinaria rete di complicità che traccerà i contorni di quel laboratorio creativo che è ancora oggi l’Italia».

Ma quegli anni dell’alta moda italiana rappresentano anche il seme straordinario che tra la fine degli Anni 70 e l’inizio degli 80 darà vita alla straordinaria nascita e al successo mondiale del prêt-à-porter italiano che ha cambiato sia l’immagine culturale del nostro Paese sia il rapporto con l’industria tessile, portandola a diventare la maggior produttrice della moda pensata in tutto il mondo, a partire da quella francese. La mostra va quindi letta come un documento culturale più che visitata come un archivio di memorie.

Di questa straordinaria capacità della moda di produrre cultura si è parlato anche nell’ultima giornata del Festival IMMaginario di Perugia che, per la prima volta, ha inserito la moda tra le culture che esplora. In una tavola rotonda coordinata da chi scrive, gli stilisti di nuova generazione come Andrea Incontri, Christian Pellizzari, Chicca Lualdi e Alberto Zambelli hanno rivendicato alla moda quel senso fortissimo di produzione di cultura che la cultura ufficiale italiana ancora stenta a riconoscerle.

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