Sarà Valentina Cuppi, la giovane insegnante sindaca di Marzabotto, la nuova presidente del Pd. Per proporre il suo nome all’assemblea nazionale, che si terrà sabato prossimo a Roma – e che dovrà affrontare anche il dossier del congresso straordinario – Nicola Zingaretti si è preso una lunga pausa di riflessione. E alla fine, nella giostra di nomi interni ed esterni, ha deciso per lei, prima cittadina del paese dell’Appennino teatro della più feroce delle stragi di civili compiute nell’estate del 1944, alla storia come «eccidio di Monte Sole», quasi 800 morti per mano di nazisti e fascisti. Cuppi, 37enne, guida un’alleanza civica di centrosinistra ed è stata consigliera con delega alla Pace e alla Memoria, vicesindaco e assessora. Nel Pd prende il posto di Paolo Gentiloni che lo ha lasciato dopo la nomina a commissario europeo. Una scelta anche simbolica, spiega Zingaretti, sia sul versante della battaglia culturale contro l’odio nei giorni in cui tornano le stelle di David fuori dalle case di ebrei (è successo a Torino) sia per «rappresentare al meglio il percorso di apertura che stiamo costruendo insieme a tutta la nostra meravigliosa comunità democratica, agli iscritti e a chi guarda dall’esterno al lavoro che stiamo facendo ».

Dal Nazareno ieri è arrivata anche la formalizzazione della segreteria «unitaria». Nell’esecutivo siederanno in ventuno, cui si aggiungerà la responsabile donne – sarà eletta il 14 marzo – e il coordinatore dell’assemblea nazionale dei sindaci (sarà eletto il 28 marzo).

Ma Zingaretti raddoppia: è nuovo, anche se ha un sapore antico, un altro esecutivo, quello «delle funzioni politiche e istituzionali», una sorta di caminetto, organismo informale da sempre convocato dai segretari Pd nel momento delle scelte «pesanti». In questo caso è un tavolo delle «funzioni nel partito, nei gruppi parlamentari e nel governo, nelle istituzioni». Nei fatti, cioè nelle persone che lo compongono, si tratta – con buona approssimazione – del gabinetto di guerra che ha gestito la crisi dello scorso agosto fino alla nascita del governo giallo-rosso. A farne parte sono infatti i capicorrente, che pure occupano gli snodi cruciali del Pd. Fra gli altri il capodelegazione al governo Franceschini, i ministri Guerini e De Micheli, i capigruppo Delrio e Marcucci, l’ex segretario Martina, il capo della segreteria Meta, il vicesegretario Orlando, le due vicepresidenti Ascani e Serracchiani, il tesoriere Zanda, il presidente della Fondazione Pd Cuperlo, Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna qui in quanto presidente Conferenza Stato-Regioni, Antonio De Caro sindaco di Bari ma qui da presidente dell’Anci. Soddisfazione da Base riformista, gli ex renziani guidati da Guerini e Lotti, che fanno il loro ingresso in maggioranza. E che nella giornata di ieri hanno dato una mano fondamentale nel bocciare la proposta di «sindaco d’Italia» del loro ex leader. Dal Nazareno esultano per gli organismi unitari, «i primi da dieci anni», indicati come segno di compattezza dopo la scissione di Renzi e nel pieno delle fibrillazioni del governo. Dietro i toni entusiasti, si intravede la scelta del segretario di consegnarsi ai maggiorenti, del resto quelli che l’estate scorsa lo hanno convinto a far nascere il governo. Resta fuori, per scelta, l’area dei giovani turchi di Matteo Orfini.