Il gesto della danza sparisce un attimo dopo la visione e si lega, come strumento, al corpo, anzi forse è meglio dire, ai corpi, differenti per proporzioni, conformazione, bagaglio tecnico e stilistico, territorio e secolo d’appartenenza. Arte in perenne trasformazione, la danza offre, anche quando si tratta di repertorio classico, la possibilità di molteplici letture.
Ed ecco al Teatro alla Scala un titolo che anima la discussione su come si possa guardare al passato dal presente: La Bella addormentata nel bosco, capolavoro nato al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1890, su musica di Pëtr Il’iaikovskij e coreografia del padre del balletto di fine Ottocento, Marius Petipa. Nulla di nuovo? Tutt’altro: a firmare il balletto in scena da sabato scorso fino al 23 alla Scala è Alexei Ratmansky, ex direttore del Balletto del Bolshoi di Mosca, dal 2009 artista residente all’American Ballet Theatre, coreografo dal piglio stilistico originale, ma anche uomo di teatro noto per le affascinanti ricerche sulle origini dei grandi titoli del passato.

Coproduzione dell’American Ballet Theatre, che l’ha già danzata nei mesi scorsi, e della Scala, questa Bella sfarzosa, che vede in scena più di 180 artisti per 350 costumi creati ex novo, e che ha già vinto il FEDORA- Van Cleef & Arpels Prize for Ballet, ha una storia ricca di curiosità, intrecciata all’arte e alla politica culturale attraverso i secoli.
Quando nacque, Petipa e l’allora direttore dei Teatri Imperiali, Ivan Aleksandrovi Vsevoloskij, creatore anche dei mirabolanti bozzetti dei costumi, volevano fare del balletto un omaggio all’epoca d’oro del Re Sole, quel Luigi XIV che adorava la danza e che fu il fondatore a Parigi dell’Académie Royale de la Danse nel 1661.

Nel 1918, a un anno dalla Rivoluzione d’Ottobre, Nikolaj Sergeev, maïtre del Mariinskij, lascia la Russia e si porta via i preziosi quaderni dove erano state salvate di sua mano molte coreografie originali di Petipa, scritte con il sistema di notazione Stepanov, non più studiato dopo la caduta degli zar. I famosi quaderni finiscono con la morte di Sergeev a Harvard: durante la guerra fredda nessuno dalla Russia li va a cercare, ma le cose poi cambiano e nel 1999 è proprio il Mariinskij a riscoprirli per opera di Makhar Vaziev, oggi direttore del Balletto della Scala, allora del Balletto di San Pietroburgo, che lavorò insieme al coreografo Sergej Vicharev. Nasce la prima Bella ricreata sull’antica notazione e sui bozzetti originari, un ballet feérie, tanta pantomima, grande fasto. Bellissima, ma discussa da chi preferisce versioni più moderne, ballate con lo stile classico di oggi.

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Intanto, nel 1921, a Londra, Diaghilev e i suoi Balletti Russi, espressione del rinnovamento d’inizio Novecento del classico, non resistono al fascino dell’antico repertorio e preparano una Bella a dir poco sontuosa: un disastro economico per un titolo glorioso. Chi si occupò della coreografia? Quel Nikolaj Sergeev che aveva con sé i quaderni Stepanov. Scene e costumi ricchi di colore, firmati da Léon Bakst.

E Ratmansky? Il coreografo russo ha ripreso in mano per la sua produzione 2015 i quaderni Stepanov depositati a Harvard, ma ha anche studiato i documenti e le testimonianze della favolosa produzione londinese del 1921. Con la complicità per scene e costumi del Tony Award, Richard Hudson, lo spettacolo è rinato nel 2015 ispirandosi sul piano visivo a Bakst, sul piano coreografico e pantomimico in fedeltà ai quaderni: una nuova produzione in cui i secoli si intrecciano con intelligenza e amore per la storia. Gambe mai troppo estese verso l’alto, tanti equilibri in punta, passi veloci e disegni di braccia che sembrano un ricamo, pantomima magnetica per la fata cattiva Carabosse, valzer con ghirlande in giallo e verde, variazioni ritmicamente trascinanti per i protagonisti e le quattro pietre preziose, armonia degli adagi, ricchezza di visione.

Una produzione faraonica, da gustare per scoprire come l’antico stile si possa sposare ai corpi dei ballerini di oggi ridando smalto allo stile del passato, e al tempo originale della musica di Caikovskij, alla Scala diretta con maestria da Vladimir Fedoseyev. Cast della prima in scena ancora il 6, con la scintillante Svetlana Zakharova in Aurora, il giovanissimo Jacopo Tissi nel Principe, la fata cattiva Carabosse, un gioiello di interpretazione dell’étoile Massimo Murru, la Fata dei Lillà della regale Nicoletta Manni. Cast di tutte le repliche su www.teatroallascala.org