Il 29 giugno alle ore 18 Alma (Associazione Libera Marchigiana Animatori) assegnerà il «Premio Alma» a Béla Tarr, il regista ungherese maestro del cinema, autore di film dallo stile unico, tratti dai romanzi di Laszlo Kraznahorkai, «Satantango» (1994), «Le armonie di Weeckmeister» (2000), «L’uomo di Londra» (2007) da Simenon presentato in concorso a Cannes, «Il cavallo di Torino» (2011) da un episodio della vita di Friedrich Nietzsche, Orso d’argento gran premio della giuria alla Berlinale. Co-regista dei suoi film è la moglie Agnes Hranitzky. Pubblichiamo qui (per gentile concessione) un estratto dell’intervista condotta per Alma da Giulia Marcolini e Stefano Franceschetti.

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In una recente intervista ha dichiarato che sapeva che «Il cavallo di Torino» sarebbe stato il suo ultimo film ancor prima di cominciare le riprese, perché quello che doveva dire con il cinema l’aveva già detto e il seguito sarebbe stato soltanto una ripetizione. Per un artista come lei non girare più film è una decisione molto seria. La domanda che segue è più che altro dettata dal nostro desiderio di vedere una sua nuova opera cinematografica: esclude davvero ancora la possibilità che un evento imprevedibile, l’incontro con un testo o altro possa riportarla dietro alla macchina da presa?
Beh, sai questa è una domanda davvero complicata. Perché se si dà un’occhiata ai miei film, mi sa che quando avevo appena cominciato sia stato quasi quarant’anni fa, piano piano, solamente passo dopo passo… lo costruisco con il linguaggio cinematografico, film dopo film. Sai, dopo che hai finito un film ci si fanno delle domande e tu non puoi risolvere le nuove domande con le risposte del film precedente. Non sono solo io, perché ho un gruppo di persone e insieme costruiamo il linguaggio del film. Non c’è motivo di continuare, sarebbe solo una ripetizione e io non vi voglio annoiare con le mie stronzate. Questo è il motivo per il quale noi, io e la mia gente, abbiamo deciso di fermarci. Ma la vita non è finita, il che significa che sto ancora facendo qualche cosa. Ho fatto una grande mostra ad Amsterdam, al Eye Museum, quando ancora era possibile… in più nell’ultimo anno abbiamo fatto un grande spettacolo che era metà teatro, metà cinema, metà musica dal vivo… come una performance. Ma durava tre ore, il titolo era The Missing People (Le Persone Scomparse) ed era a Vienna, poi sto lavorando a qualcosa per Barcellona, ci sono dei giovani ragazzi… vogliono provare a fare qualcosa dentro un museo… Sto usando il mezzo del film non nel campo del lungometraggio, ma più verso lo storytelling drammaturgico, qualcosa del genere. Non sono pigro! (ride, ndt)
E in più, ho fatto la mia scuola personale a Sarajevo e anche questo è stato un gran lavoro, un grande passo per la mia vita. Sono venuti un sacco di ragazzi giovani da tutte le parti del mondo e facevamo un sacco di belle cose.

Cosa le ha fatto aprire una scuola, chiamiamola così, che cosa insegna?
Devi sapere che odio tutte le scuole di cinema… non mi piacciono! Perché prima di tutto la mia filosofia e il mio problema in tutte le scuole era «niente educazione, solo rilasciare». Ho avuto tanti studenti talentuosi ma non ho mai davvero detto «studenti», sono piuttosto dei giovani colleghi e… non sono studenti, sono esseri umani provenienti da diverse parti del mondo, Giappone, Corea, Singapore, India, un sacco dall’America, Colombia, Brasile, Messico, Stati Uniti e Islanda, il più divertente è dell’Isola di Fecuei (pronunciato simile a «fuckway» ndt) sai suona strano (ride), e poi dall’Europa, Inghilterra, Polonia, sì ho anche avuto un italiano ma… spagnoli, francesi. Sono venute molte persone, da diversi paesi, culture e diverse identità. Abbiamo avuto gay, lesbiche, eterosessuali e… avevamo un gran casino! Come posso insegnare? Cosa vuoi che ti insegni? Niente. Sono solo il vostro mentore, perché tutti voi siete diversi, e vi devo poter capire, devo essere fottutamente forte. Sai, sensibilità. Devo capire chi sei e cosa vuoi davvero, cosa vuoi davvero, quello che vuoi veramente e come posso farti crescere, come ti posso proteggere, sono solo il tuo mentore, tuo padre. Mi ricordo di un ragazzo che ha pianto sulla mia spalla una volta, era portoghese e un bravo regista, e successe questo. Quando tu stai facendo il tuo progetto non ti dirò mai di seguirmi, non voglio che tu segua la mia strada, voglio solo che tu sia te stesso ed è un lavoro stressante, mi serve tutta la mia empatia. Un giorno devo parlare con una ragazza lesbica e un giorno devo parlare con un islandese muscoloso che parla con una forte «R» accentata (ride, ndt).

Sembra molto umano.
È così… così e basta. Perché tutto quello che faccio è per te, non per me. Un ufficio aperto a tutte le ore. Tutta la mia gente stava seduta nella stessa stanza e condividevamo tutte le informazioni e non era una scuola, non era come, uhm, una scuola di saggi, è una fabbrica di film (film factory, ndr). Cinque anni della mia vita. E ovviamente poi mi hanno cacciato… perché l’abbiamo solo derubata, era all’interno di una università privata e loro producono denaro… mi chiedevano sempre quale fosse il loro profitto e ho detto: mi dispiace, nessuno (…)