L’esplosione al porto di Beirut, il 4 agosto 2020, è arrivata come un lampo, a sconvolgere la capitale libanese, già scossa dalle proteste che dall’ottobre del 2019 hanno portato in piazza migliaia di giovani, esasperati dalla povertà crescente del paese e da una classe politica corrotta e irresponsabile. Gli oltre 200 morti e 7mila feriti causati dalla violentissima detonazione che ha distrutto l’estesa area circostante, densamente abitata, sono la precisa e drammatica rappresentazione di questa negligenza: le 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio ammassate in un magazzino, in contrasto assoluto con le norme internazionali di sicurezza, erano lì almeno dal 2014, segnalate più volte alle autorità per l’estrema pericolosità. La tragedia di agosto non ha fatto che acuire la collera della popolazione, già stremata dalla crisi economica e dalla pandemia, che in Libano ha provocato più di 6mila vittime finora. Nel vuoto dello stato, nel baratro di una crisi politica che pare senza fine, in molti sono costretti ad arrangiarsi. E il mondo della musica, a modo suo, prova ad aiutare.
Rabih Beaini in Libano ci è nato, anche se vive in Europa dal 1996. Parla perfettamente l’italiano: ha vissuto a Venezia per quindici anni, dove si è trasferito ventenne per studiare architettura. Qui oltre a fare il dj e a produrre musica elettronica, spesso con il nome di Morphosis, ha gestito un folle e bellissimo locale, l’Elefante Rosso, a Mestre. Ha dato vita a un’etichetta interessantissima che si chiama Morphine Records, spostandosi nel frattempo a Berlino.

RABBIA
La rabbia dei primi momenti si è trasformata subito per Rabih nel desiderio di fare qualcosa per aiutare il suo paese. «Sono nato nel 1976 e ho vissuto la guerra civile. Vedere di nuovo questa città completamente distrutta è stato un duro colpo per me», racconta. «Abbiamo subito capito che c’era bisogno di aiuti immediati, per i feriti, per chi era rimasto senza casa». L’idea di The Sacred Rage, compilation pubblicata da Morphine Records pochi giorni dopo l’esplosione al porto di Beirut, nasce per questo. Rabih contatta alcuni amici musicisti, tra cui Donato Dozzy, il siriano Rashad Becker, l’artista georgiana Natalie Beridze, il dj italiano Neel. Proprio Neel, aveva dato vita a un progetto simile, il disco WorldWideWindows pubblicato nell’aprile del 2020, il cui ricavato è stato donato alla Croce Rossa per supportare il suo lavoro durante l’emergenza di coronavirus, mettendo insieme diversi artisti, tra cui Caterina Barbieri, Alessandro Cortini, Donato Dozzy, lo stesso Rabih Beaini. «Neel mi ha dato un po’ di dritte per il progetto. Abbiamo messo su la compilation in tre giorni. L’abbiamo pubblicata e annunciata il giorno stesso con una mailing list. L’impatto è stato molto forte, abbiamo venduto moltissimo, facendo quasi 4mila euro nella prima settimana».
Tutto il ricavato è stato inviato in Libano. «La mia famiglia ha un piccolo ristorante a Byblos, non lontano da Beirut. Ho cercato di capire come potessimo aiutare le persone. Ho contattato un paio di ong a Beirut, con l’idea che distribuissero alcuni pasti prodotti dallo staff del ristorante. I soldi avrebbero coperto i costi per produrlo, che a Byblos sono molto minori rispetto a Beirut. Durante i primi giorni hanno preparato attorno ai mille pasti al giorno. In più portavano disinfettante, mascherine, e tutto questo tramite donazioni di persone che erano venute a sapere dell’iniziativa. Nelle prime settimane, sono stati prodotti più di 16mila pasti. Si sono raccolte anche tantissime altre cose, come porte e finestre, alcuni volontari andavano a Beirut a pulire e a sistemare le case. È stato molto bello che nel mezzo di un disastro simile le persone si siano avvicinate e sostenute in questo modo».
Il 17 ottobre, a un anno dall’inizio delle proteste, la Morphine Records ha organizzato un evento in streaming, in collaborazione con il festival berlinese CTM, il polacco Unsound, l’Irtijal Festival di Beirut, Frequent Defect, l’etichetta libanese Ruptured Music e il club The Ballroom Blitz, che si trova nella zona della città più danneggiata dall’esplosione di agosto. Al concerto-maratona hanno partecipato 32 artisti, molti dei quali libanesi, con l’idea di supportare i musicisti locali.

RACCOLTE
Quella della Morphine Records non è stata l’unica iniziativa di supporto alla popolazione libanese. L’etichetta Habibi Funk, che da Berlino si dedica a soul e funk in lingua araba, ha pubblicato nei giorni successivi al disastro Solidarity with Beirut, in cui compaiono diversi artisti della capitale: gli introiti vanno interamente alla Croce Rossa libanese. Allo stesso modo, Grief into Rage, compilation curata dal dj giordano Toumba, che ha deciso di versare tutti i proventi alla Croce Rossa e al Beirut Musicians’ Fund, un fondo avviato dal musicista libanese Fadi Tabbal e dal suo studio Tunefork per riacquistare strumenti ai musicisti locali. «La scena musicale di Beirut in questo momento è completamente devastata», racconta Rabih. «Con la crisi economica molti locali hanno chiuso, molti non hanno più nemmeno aperto. L’esplosione ha colpito moltissime aree culturali, al porto c’erano gallerie, locali, club. La maggior parte dei musicisti abita in quella zona, dove c’erano tanti magazzini e garage dove provare, c’è chi ha perso gli strumenti musicali, computer, chitarre».
Un altro progetto nato nei giorni immediatamente successivi all’esplosione è l’affollatissimo disco Retrieving Beirut, pubblicato dalla label Syrphe di Cédrik Fermont. Fermont è un personaggio eccezionale, musicista sperimentale e attivista, di origini congolesi e belghe (e di base a Berlino), pubblica musica da tutto il mondo ed è autore, insieme al sociologo belga Dimitri Della Faille, di Not Your World Music, libro sulla sperimentazione musicale in Asia. Dai social di Syrphe ha chiesto a chi volesse participare l’invio di composizioni elettroacustiche: hanno risposto in 97 musicisti provenienti da Asia, Africa, Europa, Americhe. In un solo giorno la compilation digitale in quattro volumi è stata messa in vendita. «Sentivo che serviva fare qualcosa velocemente, era un’emergenza. Non avrei mai pensato a una risposta così rapida ed entusiasta. Moltissime persone hanno donato dei soldi per supportare il progetto, mentre la rivista The Wire ci ha offerto una pagina di pubblicità gratuitamente. È stato commovente», racconta Fermont. «Finora, i proventi sono stati dati a Offrejoie, un’organizzazione non confessionale che raccoglie cibo, offre riparo e aiuta la ricostruzione di case in città, e al Beirut Musicians’ Fund. Altri soldi verranno donati al fondo nei prossimi mesi».
Anche questi progetti si scontrano con le inefficienze del sistema libanese. «Conosco molto bene Beirut» spiega Fermont, «ci ho suonato tante volte negli anni scorsi e insieme al musicista Jawad Nawfal ho anche una band lì, che si chiama Tasjiil Moujahed. Per fortuna ho un ottimo network lì: so quanto la regione sia corrotta, e noi volevamo raccogliere denaro da donare alle persone senza passare dalle banche libanesi, che chiaramente derubano i cittadini». Quanto allo stato di salute degli artisti locali, «come ci si può aspettare, non se la stanno passando bene. Già da molti anni, sempre più musicisti hanno lasciato un paese afflitto da corruzione, affitti in crescita permanente, conflitti interni e nei paesi vicini. In questo momento la scena libanese è ancora più fragile. Però chi è rimasto sente di voler lottare ancora di più per tenere questa scena viva».