Ci sono altri «esodati», meno noti, creati dal governo Monti-Fornero: nel caso che raccontiamo però non sono i lavoratori (o meglio, non solo loro), ma le piccole imprese. Fino al 2013 era in vigore una legge, risalente al 1993, che concedeva alle pmi incentivi per le assunzioni di chi era stato licenziato ed era privo di mobilità: si assicurava un taglio forte sui contributi (oltre la metà dell’importo), permettendo di risparmiare qualcosa come 4000 euro l’anno per ciascun nuovo assunto. Una manna, in tempo di crisi. Succede però che per motivi di spending, l’allora ministra Elsa Fornero decida di cancellare questo beneficio, eliminando gli incentivi per chi viene assunto dall’1 gennaio 2013.

Finita qui? Il danno sarebbe già alto, ma no: a complicare le cose si mette nell’ottobre 2013 una circolare dell’Inps, che inguaia anche chi aveva fatto assunzioni con incentivi nel 2011 e 2012. Si deve sapere infatti che la legge prevedeva la durata del beneficio per 18 o 24 mesi (a seconda che si fosse assunto a termine o a tempo indeterminato). L’Inps spiegò che non aveva più fondi per il 2013 (pari a circa 50 milioni di euro) e che quindi chi aveva continuato a usufruire del beneficio perché aveva assunto prima, doveva restituire tutto.

Alle proteste delle imprese, l’allora nuovo ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, bloccò tutto. Ma adesso pare che le salatissime bollette Inps siano pronte a partire dopo l’estate.

Nel solo Veneto, la Confartigianato locale calcola che grazie agli incentivi erano stati assunti ben 56 mila lavoratori, a questo punto a rischio.

La questione è oggetto di un’interpellanza parlamentare del Movimento Cinquestelle – a firma, tra gli altri, di Gessica Rostellato – e verrà discussa dopodomani alla Camera dei deputati con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

«Non solo è stato annullato l’incentivo, un assurdo in una fase di crisi – dice Rostellato – Ma la cosa peggiore è che venga chiesto di restituire somme per il passato, per un beneficio che si dava già per acquisito. Se sommiamo a questa novità, i problemi classici delle piccole imprese, come la stretta del credito bancario, l’aumento della pressione fiscale che oramai ha valicato quota 60%, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e l’abolizione degli sconti fiscali sui capannoni, viene fuori un quadro di difficoltà ormai insormontabili. Senza contare, ovviamente, i problemi per i dipendenti».

Uno degli imprenditori che rischia di dover pagare una somma consistente – con conseguenti danni per la sua attività e rischi per la tenuta occupazionale – è Renato Pavanetto, che nel trevigiano ha un’industria con 20 dipendenti: produce automazione robotica, macchine che vende sia in Italia che all’estero. Grazie agli incentivi, aveva assunto ben 4 operai circa due anni fa.

«Grazie ai minori costi del lavoro assicurati dagli incentivi – ci racconta – avevo acquisito degli ordini che altrimenti non avrei mai potuto prendere a quel prezzo. Ora, secondo i calcoli fatti insieme al mio avvocato, ho visto che dovrei restituire 35 mila euro. Qui in Veneto stiamo facendo di tutto per uscire dalla crisi, ed è incredibile che lo Stato un giorno fa una legge, e l’indomani l’annulla, per giunta in modo retroattivo. Credo sia incostituzionale, e comunque se continuano così ci spingeranno tutti a chiudere e riaprire all’estero, perché qui c’è troppa incertezza».

Proprio oggi scade uno dei quattro operai assunti da Pavanetto, e gli chiediamo se lo terrà, visto che sono aumentati i costi del suo lavoro a causa della «beffa Inps»: «Se dovessi darle una notizia – risponde – le direi che non ce la faccio a tenerlo. Ma sto tentando di fare il possibile, sto cercando nuove commesse. I quattro che avevo assunto sono tutti 50 enni con elevatissime capacità professionali: è assurdo che non lavorino persone così. Hanno anche famiglia. Noi imprenditori sentiamo il peso della responsabilità sociale, ma lo Stato ci deve mettere in condizione di essere all’altezza. Non può dipendere tutto e solo da noi».