Oskar Becker a Martin Heidegger,1923Al momento sono immerso negli scritti freudiani. Ne sono ancora profondamente colpito. È stupefacente vedere come ogni volta Freud riesca a dire cose nuove per mezzo di concetti apparentemente già molto sfruttati, che provengono dal milieu medico-scientifico degli anni Novanta del secolo scorso o, perlomeno, come riesca a elevare al rango della conoscenza scientifica certi aperçus psicologici tipo quelli che si trovano in Schopenhauer e Nietzsche o anche in altri «psicognostici» più antichi. Lo sfondo filosofico, il sistema delle sue «anticipazioni concettuali» dipende fortemente da Schopenhauer, benché Freud non sembri esserne consapevole (…) nel bene e nel male. Nel «bene» l’emergere del momento emozionale, della tendenza e del motivo, il pensiero di una dinamica psichica (qui non scevro di pensieri fuorvianti sul modello di quelli delle scienze della natura, soprattutto, quello della libido come «energia psichica», concepita in modo del tutto simile a quello della fisica) – l’idea che la conoscenza non è il motivo primario della vita, e così via. «Nel male» negli ultimi scritti di Freud (in particolare in Al di là del principio di piacere) il ruolo giocato da concezioni biologico-fisiologiche. Anche Freud non è del tutto sfuggito alla tentazione tipica della vecchiaia di costruire alla fine un sistema. Qui c’è qualche analogia con la concezione schopenhaueriana della conoscenza come funzione del cervello, con la sua teoria del «genio della specie». Ma oltre a questo, Schopenhauer (e ancora più direttamente Nietzsche) è , in molti temi particolari, un precursore della psicoanalisi: nelle sue osservazioni sul sogno, sulla follia, sull’associazione di idee («l’intuizione»), la teoria del ridicolo, la metafisica dell’amore sessuale. Ma c’è anche una certa parentela con la psicologia descrittiva e delle distinzioni di Dilthey (…)A me interessano, oltre al problema al quale ho accennato, due ulteriori questioni da porre alla psicoanalisi: le premesse delle scienze della natura sono per Freud il fondamento che sostiene il suo pensiero e nel quale, per così dire, egli finisce per trovare la soluzione di tutto. Infatti, la sua teoria delle pulsioni si dimostra, sottoposto a critica, dogmaticamente vincolata alla determinazione di processi e scopi molto specifici delle pulsioni stesse (tra l’altro proprio come accade in Schopenhauer e in Nietzsche, fatte salve le differenze che caratterizzano la fisiologia e la biologia delle diverse epoche nelle quali hanno vissuto).Se dunque le cose stanno così, se alla teoria freudiana (la psicoanalisi non è una teoria in senso proprio, piuttosto una tecnica medica, un fenomeno fattuale sui generis) viene meno il terreno su cui poggia – cosa ne prende dunque il posto? (..) Siamo a un passo dal cercare un surrogato nella relazione con il mito, via già intrapresa da Jung. Al posto di un dogma se ne mette un altro, ancora più difficilmente comprensibile, e in questo modo si sacrifica molto della psicoanalisi. Se essa mostra come la vita psichica cosciente è «determinata» (o forse meglio «motivata») dall’inconscio, non si potrebbe dire lo stesso per la genesi fattuale di una filosofia? Non ci possiamo più permettere oggi di distinguere in modo sommario «psicogenesi» e fondazione «logica o trascendentale», o «dialettica».Il filosofare non pertiene soltanto a una determinata situazione della storia dello spirito , ma a «ognuno» con tutte le sue particolari preferenze e avversioni, i suoi punti ciechi e gli spostamenti e le altre attitudini della cui profondità normalmente non è consapevole. Non dovrebbe appartenere, questa specie di auto-psicoanalisi, ai requisiti necessari al filosofare «critico», proprio come distruzione di ciò che appare come un mero dato della storia della spirito?Da Oskar Becker, Vier Briefe an Martin Heidegger, in A. Gethmann- Siefert, J. Mittelstrass ( a cura di ), Die Philosophie und die Wissenschaften. Zum Werk Oskar Beckers, München, 2002. Pubblicata in tedesco in nota a Antonello Giugliano, Décadent e inizio al tempo stesso I, in Massimo Mezzanzanica (a cura di), Autobiografia Autobiografie Ricostruzione di Sé, Franco Angeli, Milano, 2007.Traduzione di Romano Mádera

di ROMANO MÁDERALa lettera di Becker è datata 1923, dunque tre anni dopo l’uscita di quell’opera capitale di Freud che è Al di là del principio di piacere, e quattro anni prima della pubblicazione di Essere e tempo di Heidegger, con il quale Becker, che frequenta i suoi primi corsi a Friburgo, insieme a Löwith e ad altri, ha scambi intellettuali così intensi da lasciarne indovinare le influenze. Nel frattempo, legge e rilegge Freud. A quel tempo assistente di Husserl, Heidegger cerca di dare un impronta più decisamente esistenziale alla sua ricerca: filosofia e vita sono un tutt’uno, la filosofia è una scelta di vita e questa va compresa nella sua concretezza, nella sua storicità fattuale.Nella prima parte della lettera Becker traccia una sorta di genealogia filosofica della psicoanalisi – da Schopenhauer a Nietzsche con un accenno a Dilthey: se oggi è scontato che un professore di filosofia si interessi anche di psicoanalisi, nel 1923, la critica alle pretese di Freud, che voleva far rientrare le sue scoperte nella «concezione scientifica del mondo», sono tutt’altro che ovvie.Per Becker, manca alla psicoanalisi la struttura logico-formale capace di reggere un nuovo orientamento conoscitivo. Tuttavia, egli riconosce come il pensiero di Freud porti a scoprire quanto la nostra vita cosciente sia influenzata dall’inconscio e – qui sta la sorpresa e il pungolo per Heidegger, destinatario delle sue riflessioni – sostiene che si dovrebbero riprendere queste dinamiche psichiche anche per la «psicogenesi» di ogni filosofare, per la determinazione «biografica» di ogni attività di pensiero, approfondendo i condizionamenti della storia della cultura fino ad arrivare all’individualità che pensa.Di questa «fatticità» che è la vita concreta del filosofo e dei suoi moti psichici profondi, non ci si può liberare rifugiandosi frettolosamente nei fondamenti logici, trascendentali o dialettici. Anzi, Becker ipotizza che una sorta di psicoanalisi filosofica possa aiutare a distruggere le assunzioni date per scontate dalla sola coscienza circa la «storia dello spirito».Molti anni dopo, nei testi su Nietzsche del 1961, Heidegger dichiarerà il suo categorico disprezzo per la «fatticità» biografica in filosofia: e lo farà proprio parlando di Nietzsche, che potrebbe passare per antesignano di una filosofia della biografia e dell’autobiografia. Scrive Heidegger: «la condizione preliminare sta nel prescindere dall’ “uomo”, nel fare astrazione dall’ “opera” nella misura in cui essa viene vista come espressione dell’umanità, cioè alla luce dell’uomo… Né la persona di Nietzsche né la sua opera ci interessano fintanto che facciamo di entrambe, nella loro coappartenenza, l’oggetto di un resoconto storiografico e psicologico».Dunque, rispetto a quel che la lettera pubblicata in questa pagina sembrerebbe prefigurare, Heidegger avrebbe preso, poi, una direzione esattamente opposta. Quanto a Becker, egli avrebbe cercato di applicare suggestioni heideggeriane nei suoi lavori «esistenziali», abbandonando però l’ermeneutica per una sorta di «mantica», di divinazione fenomenologica, che porterebbe a intuire, nelle esistenze individuali, così come in estetica, la presenza di forme ideali. In questa direzione così brutalmente antistorica e antibiografica, si potrebbe comunque cogliere un contro-movimento alla «filosofia critica» che da Fuerbach, a Marx, a Stirner, a Nietzsche (e anche alla psicoanalisi), sebbene in forme molto diverse, cercava di trovare il terreno ideale sul quale far poggiare le astrazioni del pensiero, alla ricerca di pratiche, collettive e individuali, capaci di provarne la consistenza.In questa prospettiva, Heidegger incarna l’acme di una gigantesca «regressione»: di una «reazione» che, dietro la nebulosa del suo linguaggio gonfio di enfasi destinali, lascia trasparire la cancellazione dei conflitti storicamente determinati, interni alla società e ai singoli individui.