Beatrice Antolini è una specie di anima mutante intrisa di musica, che non si limita a comporre canzoni dove suona tutti gli strumenti, ma anche a registrarle e mixarle. Ogni suono che ascoltate nel suo ultimo album L’AB (La Tempesta) è opera sua, un vasto corredo elettronico che cambia forma, si intreccia e si tinge di pianoforte, batteria o chitarra: «Ho scritto e arrangiato moltissimi provini ma poi ho scelto quelli che avevano un filo conduttore sia come sound che come tematica, il mio doveva essere un concept album». Beatrice ci racconta che trascorre le giornate nel «bigsaloon studio», una taverna della sua abitazione: «Capita perfino che i pezzi si autocreano, ho un rapporto mistico con la scrittura musicale: mi faccio invadere da un qualcosa e mi metto a disposizione, rinunciando ad avere una vita normale. A volte lavoro anche 15 ore al giorno».

Una performer che non tralascia nemmeno l’accuratezza dei testi, in L’AB emerge la necessità di riappropriarsi del senso vero della vita, fuori dal virtuale, oltre la superficialità, con un occhio critico rivolto verso i social: «Non è una critica ma piuttosto un’analisi delle nuove meccanicità umane, con vizi e peccati. Con la consapevolezza che c’è un cambiamento in atto, senza guardare dall’alto ma essendone coinvolta, ho voluto analizzare ciò in cui tutti nuotiamo con più o meno cognizione». Il titolo sono le prime due lettere dell’alfabeto.

Ci si potrebbe allora aspettare un glossario limitato se non fosse che indicano anche il principio di qualcosa, per esempio del carattere multiforme del disco e della sua prontezza nel promuovere gli stati d’animo che affiorano nei brani, creando un corpo musicale liquido ma tuttavia compatto: «Rispondo come in altre occasioni, cioè che l’ab è un laboratorio chimico di reazioni fisiche e sensazioni dall’esterno all’interno, ma anche alchemico di creazione, fusione e miglioramento dall’interno all’esterno. Il mio personale laboratorio interiore di analisi e osservazione, in altre parole sono io». L’artista descrive l’album come un disco spirituale/scientifico: «Il genere potrebbe chiamarsi sacro sperimentale», specifica.

In Second Life il tema è l’insopportabile silenzio, come se il rumore dei social per qualcuno sia necessario per non ascoltarsi dentro. La sua città natale, Macerata, a causa dei noti fatti di cronaca, sembra una metafora calzante delle emozioni surrogate descritte nella canzone: «Quello che ho visto e sentito mi ha molto spaventato. Non si può arrivare a tali crudeltà e a tali reazioni. A tal proposito nel brano Forget to be parlo appunto del ’dimenticarsi di essere’, di essere umani appunto, e con tutto ciò che ne consegue. Il male e la crudeltà purtroppo arrivano dove c’è paura, ignoranza, stupidità e dove non ci sono più valori umani».