>Che fine hanno fatto i corredi di una volta? L’insieme di tovaglie, lenzuola, asciugamani e lingerie di qualità che le famiglie tradizionali del centrosud cominciavano a comprare, nel corso del tempo, come dote alla nascita di una figlia. Abitudini travolte dall’evolversi della società e dall’affermarsi della produzione tessile seriale. Quelle meravigliose stoffe istoriate e la corsetteria glamour si ritrovano in Beate – lungometraggio opera prima di Samad Zarmandili, rodatosi come regista in tre stagioni di Squadra Antimafia, la serie di successo di Canale 5- appena uscito nelle sale (al Nuovo Sacher di Roma e all’Anteo di Milano e poi a seguire, nelle altre città italiane) che racconta con leggerezza e un pizzico di umorismo una storia di riscatto femminile ambientata nel Polesine, una zona magica del Nordest modernizzata ma non ancora stravolta.
Un territorio «bianco», di forte radicamento cattolico dove si incontrano le operaie della fabbrica «Veronica», un marchio di biancheria intima per signore che i proprietari vogliono delocalizzare in Serbia (ispirato alla lontana dalla cronaca, è capitato alla Omsa) e le suore del convento del Manto Santo, abili nell’antica arte del ricamo e devote della salma mummificata della Beata Armida, attorniata da un prezioso velo con impuntature dorate, a rischio sfratto perché un aspirante sindaco vuol trasformare l’ampio storico immobile in un resort di lusso. Tutto un gruppo infervorato di sorridente beatitudine, grazie all’acuminato dialetto veneto, tra scorci d’acqua e borghi trasformati dalla crisi economica, imprenditrici disinvolte e conniventi gerarchie ecclesiastiche.
RICAMI
«I ricami sono come la preghiera, sembra un’attività noiosa ma dà grandi risultati» dice suor Restituta (Lucia Sardo), la zia un po’ bacchettona di Armida (Donatella Finocchiaro), lavoratrice forte e determinata, dotata di una sua profonda religiosità, menomata nel fisico dalla nascita per un cosiddetto «piede torto» senza marito e con una figlia di cui occuparsi tutta da sola, eppure capace di organizzare la resistenza delle compagne lasciate senza lavoro e trascinarle in una straordinaria avventura umana e lavorativa. Così le sorelle della congregazione religiosa inevitabilmente si troveranno a collaborare con le dipendenti messe in cassa integrazione per opporsi a un destino segnato e lanciare una linea artigianale di lingerie molto elaborata e piuttosto sexy («mica vorremo metterci a produrre queste porcherie, dentro le mura della nostra comunità religiosa» interviene sempre suor Restituta). Nella scena clou, molto corale e divertente, operaie e suore cuciono decorazioni a ritmo di Veronica, la canzone di Jannacci del 1965, col testo scritto da Sandro Ciotti e Dario Fo, «Veronica, se non mi sbaglio stavi in Via Canonica/ dicevi sempre ‘voglio farmi monaca’/ma intanto bestemmiavi contro i prè» e il finale all’unisono «In pè! In pè! In pè».
Sarà, ovviamente, la Beata che non aveva mai compiuto miracoli ad aiutare il business clandestino e a far esplodere le contraddizioni della vicenda dove un magazziniere diventa rappresentante di commercio (Paolo Pierobon) e anche la pudibonda suor Caterina (Maria Roveran) dovrà far vedere le belle gambe («ma la faccia, no, vi prego!») inguainate in calze merlettate nel catalogo fatto in casa dell’azienda solidaristica. Le donne, sia quelle un po’ svitate del convento sia quelle povere e frastornate dell’azienda, non si vogliono adeguare ai tempi che cambiano, all’inevitabile dittatura del denaro anzi «unite nella lotta», riescono a diffondere un forte messaggio di speranza, anche in questi periodi così egoistici e drammatici. Che la Beata vegli su di noi!
MONDO CONTADINO
«Il filtro della commedia, in questo caso sociale e di costume – ha detto il regista in conferenza stampa – mi ha offerto la possibilità di avvicinare temi tristemente attuali, quali la perdita del lavoro e la sua delocalizzazione dovuta alla globalizzazione dei mercati, con levità e in chiave più grottesca che realistica». E anche indugiare con sguardo delicato su questo mondo contadino e popolare dove la chiesa ha un posto importante nella vita della gente, vicino alle necessità quotidiane, accogliente e responsabile, nonostante la secolarizzazione dilagante. «Papa Francesco – ha aggiunto Zarmandili – ha rivalutato il ruolo della donna, dando anche spessore alla figura delle suore. E ha evidenziato la dimensione del sacro, nella nostra vita d’ogni giorno». Scritto da Salvatore Maira, Antonio Cecchi e Gianni Gatti, prodotto dalla Eskimo di Dario Formisano, col contributo della Direzione Generale Cinema del MiBact e del Nuovo Imaie, il film è stato presentato al BiFest di Bari e alla rassegna «Bimbi belli» a Roma, premiato pochi giorni fa al Santa Marinella Film Festival (miglior film e migliore interpretazione femminile) dedicato alle opere prime di stagione.