Varsavia punta a mettere fuori legge l’aborto con il sostegno della Conferenza episcopale polacca. Un’iniziativa che rischia di concretizzarsi dal basso grazie a una proposta di legge di iniziativa popolare che potrebbe essere presentata questa primavera al Sejm, la Camera bassa del parlamento, dopo aver ottenuto centomila firme. La raccolta non è ancora cominciata ma la campagna ha ripreso slancio nell’ultimo periodo. Un’operazione che dovrebbe durare pochi giorni, e per la quale non ci sarà nemmeno bisogno di coinvolgere i dirigenti teo-con del partito di destra Diritto e giustizia (PiS) al governo da ottobre scorso. Sarà sufficiente arruolare nelle campagne «i berretti di mohair», dal nome dei copricapo indossati dalle anziane seguaci di Radio Maryja, emittente antisemita e xenofoba del pastore redentorista Tadeusz Rydzyk, vicina all’elettorato rurale del PiS.

La Chiesa polacca già intravede la possibilità di stracciare la legge sull’aborto del 1993, provvedimento restrittivo, ma considerato storicamente un compromesso al ribasso dalla gerarchia ecclesiastica locale. Attualmente in Polonia l’aborto è considerato un reato penale, punibile con una pena massima di 8 anni di carcere per il medico che lo esegue, ma non per la madre. L’interruzione volontaria di gravidanza è comunque consentita in tre situazioni: quando la gravidanza mette a rischio la vita o la salute della madre, quando il feto è gravemente danneggiato, e infine quando esiste il sospetto fondato che la gravidanza sia il risultato di un crimine, ovvero in caso di stupro.

Durante l’ultima settimana la dirigenza del partito fondato dai fratelli Kaczynski non ha fatto nulla per nascondere le proprie convinzioni personali. «Appoggio questa iniziativa», ha dichiarato senza troppi giri di parole la premier Beata Szydlo favorevole alla proibizione totale. Più velata la posizione del numero 1 del PiS Jaroslaw Kaczynski: «In questo ambito non vige alcuna disciplina di partito. Prevedo comunque che la stragrande maggioranza sia disposta a sostenere l’iniziativa». È consapevole che la nuova legge può portare a un calo di popolarità per il partito conservatore dalle conseguenze imprevedibili.
Favorevole all’introduzione della nuova legge anche la rockstar Pawel Kukiz, vera e propria mina vagante della politica polacca capace di rubare voti fondamentali al partito di centro-destra Piattaforma civica (Po) alle ultime elezioni. Le dichiarazioni “pro-life” da parte di alcuni leader, pronti a difendere il quinto comandamento ad ogni costo, potrebbero influenzare l’opinione pubblica. Ma a decidere saranno i deputati del Sejm che potrebbe essere presto chiamato a votare la nuova legge, immune al raid aereo “pro-choice” organizzato lo giugno scorso dal movimento Woman on Waves. In tale occasione, il gruppo di attiviste olandesi avevano lanciato pillole del giorno dopo al confine tra Polonia e Germania con un drone.

Intanto, il turismo abortivo soprattutto in direzione di Praga, Bratislava e Berlino è in pieno boom, mentre alcune decine di migliaia di polacche scelgono ogni anno di abortire clandestinamente nel proprio paese. Il vulnus dell’attuale legislazione, già di per sé restrittiva, è da ricercare altrove. L’obiezione di coscienza presenta un ambito di applicazione molto largo a Varsavia. Ai medici è consentito non soltanto il rifiuto di praticare un’interruzione volontaria di gravidanza nei casi previsti dalla legge. In Polonia infatti il nie per motivi morali o religiosi può arrivare anche per la prescrizione della pillola del giorno dopo, e, addirittura, per gli esami prenatali necessari a tenere sotto controllo la gravidanza.

Ma è ancora più grave che i medici e i dirigenti delle strutture ospedaliere violino la legge che gli riconosce il diritto all’obiezione di coscienza a condizione di indicare alle richiedenti un medico disposto a praticare l’aborto, oppure, a prescrivere farmaci anti-concezionali. Un obbligo etico che non viene sempre rispettato dagli obiettori di turno. Così i cittadini spesso sono costretti a una disperata corsa contro il tempo nei corridoi degli ospedali per scavalcare il muro della reticenza.
Celebre in patria il caso del dottore Bogdan Chazan, direttore dell’ospedale della Sacra Famiglia a Varsavia, licenziato dal sindaco della capitale Hanna Gronkiewicz-Waltz per non aver voluto fornire il nome di un medico e di una struttura favorevoli all’aborto. A ottobre scorso proprio una sentenza del Tribunale costituzionale polacco, ormai ridotto di fatto all’inoperatività, a causa delle manovre politiche del PiS, aveva però dato ragione ai “pro-life”. Un verdetto che dichiarava incostituzionale proprio quella norma che obbliga gli obiettori a segnalare ai pazienti un’alternativa.