l ritmo delle festività, in Israele, è complicato. Dopo la festa di Pesah, la Pasqua ebraica, ecco la giornata del ricordo dell’Olocausto e fra poco il giorno dell’indipendenza. In mezzo, una riunione della Commissione parlamentare sulla guerra a Gaza del 2014.

La riunione è stata indetta per discutere il rapporto del controllore dello Stato (che verifica legalità, regolarità, efficienza, economia ed eticità della condotta delle istituzioni pubbliche, ndt) sulla guerra di Gaza nel 2014. Il premier Netanyahu doveva rispondere.

Varie le parti problematiche e anche una «piccola» osservazione: il governo – sostiene il controllore di Stato (nominato da Netanyahu, a suo tempo convinto dell’obbedienza totale da parte di questo ex giudice) – non aveva preso in considerazione alternative diverse dalla guerra.

Ed ecco che tutto riesplode: tre familiari dei militari morti nel corso dell’offensiva a Gaza protestano duramente contro Netanyahu, i rappresentanti del governo e due deputati del Likud, noti per l’atteggiamento sempre servizievole rispetto al premier, attaccano i tre…infrangendo il mito della sacralità delle famiglie dei caduti.

Lo scandalo per questa offesa alle vittime cresce. Netanyahu tace; capisce che in questo modo la discussione sarà incentrata sull’episodio increscioso e non sulla guerra…di quella, meglio parlare in una riunione a porte chiuse.

Giorni e giorni di discussione sulla sacralità delle famiglie dei caduti. Una vergogna, per il Likud. Tutti si scusano. Poi ecco le cerimonie per l’Olocausto e della guerra non si parla più…In un’intervista alla televisione, la storica Hara Yablonka critica nuovamente le manipolazioni intorno alla memoria dell’Olocausto.

Non solo coloro i quali riuscirono a sfuggire alla morte e approdarono sulle coste del futuro Stato di Israele sono come dimenticati, ma si nega un elemento centrale: l’Olocausto dovrebbe essere considerato il punto di partenza per una discussione sui valori universali e non un mero caso di persecuzione degli ebrei, pur con tutto il rispetto per l’importanza e la centralità dello sterminio.

Oltre 40 anni fa, Nahum Goldman, presidente dell’Organizzazione ebraica mondiale e anche dell’Organizzazione sionista mondiale, statista di levatura internazionale e spesso contrario alla linea ufficiale di Israele, sottolineava che nel Ventesimo secolo gli ebrei dovevano essere il popolo non conformista per eccellenza che si schierava con le concezioni liberali e democratiche.

Che cosa rimane di questo? I segnali sono molto contraddittori. Mentre la grande maggioranza degli ebrei statunitensi si è schierata in modo coraggioso e coerente contro la linea di Trump e dei suoi alleati, in Europa non pochi preferiscono allearsi con l’ultradestra di cui a volte sembrano dimenticare l’antisemitismo.

Si uniscono allegramente all’ondata di islamofobia che si è diffusa in Occidente. Fascisti e razzisti si uniscono in un coro problematico: l’islam è il nemico e Israele deve stare dalla parte dei giusti.

Il governo israeliano gioca sfacciatamente questa carta e taccia ogni critica della politica israeliana di antisemitismo e negazione del diritto di Israele a esistere. Anziché parlare di reazione degli oppressi di fronte a una brutale occupazione ai danni di milioni di palestinesi, si ricorre sempre più alla stigmatizzazione: il terrore islamico. «Israeliani ed europei, siamo dalla stessa parte».

Pochi mesi fa, il premier ha ricevuto una pioggia di critiche, dopo le sue affermazioni sul fatto che il muftì palestinese avrebbe dato a Hitler l’idea di sterminare gli ebrei. La condanna è stata così generalizzata che il «povero» primo ministro ha dovuto cercare di spiegare che non era stato capito, che non intendeva certo giustificare i nazisti eccetera.

Disgraziatamente, però, la demagogia funziona. Il rifiuto da parte degli ebrei italiani di sfilare con i palestinesi nel giorno della Liberazione, il 25 aprile, e l’accusa di antisemitismo nei loro confronti sono una eco triste della più bassa demagogia del governo israeliano.

In Israele, con un governo che continua a dichiarare spudoratamente che il paese è l’unica democrazia della regione, lo spazio democratico si riduce vieppiù e le leggi antidemocratiche aumentano la pressione su chi fa sentire la propria voce contro l’occupazione e la guerra, a favore dei diritti umani dei palestinesi.

Politici di destra e ultradestra che ricevono enormi somme di denaro dai donatori più dubbi – compresi gruppi evangelici con evidenti tendenze antiebraiche – delegittimano l’appoggio offerto da alcuni governi europei a organizzazioni israeliane che difendono i diritti umani e contestano l’aiuto offerto ad iniziative palestinesi che in fondo dovrebbero essere finanziate dallo stesso Stato occupante.

In precedenza, già Angela Merkel aveva manifestato a Netanyahu la propria critica alla legge che consente di confiscare terre palestinesi nei territori occupati, a favore degli insediamenti. La maschera secondo la quale «Israele vuole e cerca la pace» funziona solo per ingenui, sciocchi e criminali.

La guerra contro la campagna Bds si intensifica con una nuova legge: chi fa appello al boicottaggio degli insediamenti non sarà più autorizzato a entrare nel paese; le porte rimarranno dunque chiuse anche per i molti ebrei che sono a favore del boicottaggio degli insediamenti perché appoggiano il diritto di Israele a esistere, ma si oppongono all’occupazione.

Breaking the Silence, i soldati che testimoniano sui crimini propri o dei propri colleghi, vissuti durante il servizio militare, ora sono nemici della patria perché «diffamano i nostri soldati». Si unisce a loro B’Tselem, organizzazione già nota per la difesa dei diritti umani nei territori occupati, che chiede alla comunità internazionale di far pressioni su Israele.

Ma Netanyahu e i suoi complici – compresi i cosiddetti oppositori come Lapid – vogliono delegittimare ogni tipo di opposizione. Oggi siamo tutti traditori e la violenza e gli abusi contro l’opposizione reale – non quella fittizia di Lapid o dei socialdemocratici – sono in continuo aumento.

Durante la sua visita in Israele, il ministro degli esteri tedesco Sigmar Gabriel ha deciso di incontrare diverse organizzazioni della società civile, comprese le due succitate.

A quel punto Netanyahu, certo della propria forza soprattutto rispetto ai tedeschi, i quali si mostrano sempre molto moderati nei confronti di Israele per via del peso del passato, ha posto il ministro di fronte a un out out: o incontri loro, o me.

Ma Gabriel ha risposto in modo molto semplice: siamo abituati a parlare con tutti in tutti i paesi democratici, perché è l’unico modo di cogliere meglio la realtà.

Il ministro degli esteri della Germania, certo in coordinamento con la cancelliera Angela Merkel, ha dato una lezione a tutta l’Europa. Il governo israeliano si è auto-isolato con una manovra stupida che potrebbe essere un boomerang nelle sue relazioni con l’Europa.

È arrivato il momento che i politici europei si rivelino fedeli alle lezioni dell’Olocausto: la difesa dei diritti umani, la lezione universale da trarre a quel terribile evento, devono servire ad elaborare un’azione effettiva contro gli abusi dell’occupazione israeliana e a favore della pace.