Secondo lavoro per il collettivo sudafricano BCUC, l’acronimo sta per Bantu Continua Uhuru Consciousness, che contiene due tracce di venti minuti, Moya e Insimbi, e una versione dello spiritual Nobody Knows The Trouble I’ve Seen. La strumentazione è al minimo: voci, due grancasse, congas, tamburello, campanaccio, basso elettrico e saltuariamente piccoli strumenti a fiato (flauto da naso, fischietti e mbomu, l’antenato della vuvuzela). Il risultato che ne traggono è al massimo della potenza. Questi sette musicisti provengono da Soweto e la loro musica si può ben definire con la definizione/contenitore Afro-punk. Canti tradizionali mescolati con le modalità di afro-beat, hip hop, gospel e rythm’n blues. Musica comunitaria e andamento responsoriale. «Noi non facciamo serenate; facciamo rock and roll», dichiarano e in copertina mettono una banda di motociclisti alati ripresi da un volantino sindacale del 1984. Le loro canzoni sono state censurate alla radio e in concerto criticano apertamente corruzione e diseguaglianze del loro Paese. L’urlo e il battito delle periferie danno un bello scossone alle immagini di afriche da cartolina e ci restituiscono un’Africa reale e popolare. Dove la vita è vera nascono buone vibrazioni.