I dati sull’occupazione sono proprio gufi. E il segno più non appare all’orizzonte. Nel bollettino mensile, la Banca Centrale Europea ha fatto un passo indietro rispetto alla concitazione con la quale il governo Renzi comunica ogni dieci giorni i suoi presunti successi sul fronte più delicato che c’è oggi in Europa. Leggendo la parte centrale di un rapporto di 109 pagine si compie un breve viaggio tra il secondo trimestre 2013 e il primo del 2015, l’arco temporale compreso tra le ultime convulsioni del governo Letta, l’approvazione della riforma Poletti sui contratti a termine e l’inizio del Jobs Act. L’analisi della Bce è utile per capire la ragione per cui oggi, a quasi dieci mesi dall’entrata in vigore della riforma del lavoro, non solo l’occupazione stabile non cresce con il «contratto a tutele crescenti» ma, anzi, cala com’è accaduto sia a settembre che a ottobre (dati Istat).

In Italia «la crisi ha esercitato un impatto avverso ben più persistente sull’occupazione complessiva, che è rimasta pressochè invariata, in controtendenza rispetto all’insieme dell’area dell’euro e alle sue economie più piccole». Nell’ultimo biennio l’area euro ha cercato di recuperare con grande affanno l’emorragia di posti perduti: circa 5,5 milioni. Ad oggi, secondo la Bce, ne ha creati solo 2,2 milioni, mentre gli Stati Uniti veleggiano verso i dieci, dopo averne persi otto. Di questi 2,2 milioni, quasi due terzi li hanno creati Germania e Spagna. Due paesi tra loro molto diversi che, in un’ottica complessiva, hanno creato rispettivamente 592 mila e 724 mila unità. La crescita è stata avvertita anche in Francia e Italia dove però sono aumentati – rispettivamente – di 190 mila e 127 mila unità. Tutti gli altri paesi europei, alla fine del primo trimestre di quest’anno, avevano totalizzato 252 mila unità. Partiamo dall’occupazione dei giovani e delle donne, i due soggetti più colpiti dalla crisi. A dispetto di un aumento generalizzato dell’occupazione femminile in Europa, l’Italia insieme alla Spagna è il paese in cui è cresciuta di meno nello stesso periodo.

Il bollettino fa un confronto con gli Stati Uniti a partire dalla legislazione sulla protezione dell’occupazione (Epl, employment protection legislation). La Bce sostiene che l’aumento dell’occupazione negli Usa è dovuto alla mancanza delle tutele più elementari. Persino i paesi europei con i più bassi livelli di Epl (Estonia, Irlanda e Finlandia) garantiscono più tutele per i lavoratori fissi. Ciò ha permesso ai lavoratori di resistere quando la crisi mordeva, ma oggi «rallenta» la crescita. Il contenimento del costo del lavoro ha permesso inoltre di aumentare l’occupazione negli Usa del 2%. È quanto accaduto in Spagna, ad esempio, dove l’occupazione che aumenta è quella precaria e povera. La tesi della Bce è chiara: le riforme del mercato del lavoro, insieme agli incentivi alla «produttività» funzionano in presenza di una situazione deregolamentata. È la stessa discutibile politica di Renzi con il Jobs Act. Il problema è che in Italia non funziona.

Un articolo del 14 dicembre pubblicato dalla Reuters, ripreso dal New York Times, conferma la tendenza. Non che ci sia bisogno di un’occhio esterno per leggere dati ormai noti, sul Manifesto lo facciamo quotidianamente, ma l’articolo è utile per comprendere gli eventi dal primo trimestre del 2015 a oggi. «L’Istat dimostra – scrive Jones – che i lavori a tempo pieno che il Jobs Act doveva promuovere sono stagnanti, mentre continuano a crescere quelli temporanei che avrebbe dovuto scoraggiare». Dal dicembre 2014, il mese precedente l’inizio degli incentivi renziani, a oggi sono stati creati 2 mila posti fissi netti, «statisticamente trascurabili».

Da marzo, con il Jobs Act, i lavoratori fissi sono diminuiti di 23 mila unità mentre quelli temporanei sono aumentati di 178 mila dall’inizio dell’anno e di 190 mila da marzo. L’occupazione cresce tra gli over 50, obbligati a restare al lavoro dalla riforma Fornero: 186 mila in più in 10 mesi. Ciò non ha impedito di diminuire la perdita di lavoro tra i coetanei: 103 mila. La Reuters ricorda che l’occupazione è calata di 39 mila unità a ottobre e di 45 mila a settembre. Allievo diligente di queste politiche, Renzi oggi registra il «successo» inaspettato della riforma Fornero. Il Jobs Act ha saltato il turno.