Loro Piana vola via, e per due miliardi un altro gioiello del made in Italy imparerà in fretta e con soddisfazione il francese di Luis Vuitton. I capitani di industria italici tuttavia han ben altro a cui pensare: in cima ai loro pensieri c’è ancora una volta il Corriere della Sera. Dopo settimane e anni di scaramucce; dopo aver scoperto da Marchionne che Rcs (che fa l’editore) è strategica per Fiat (che fa automobili); dopo aver visto Della Valle (che fa scarpe) scrivere a Napolitano in difesa dell’autonomia del Corriere; dopo le voci che vogliono Murdoch nei panni di razziatore (o salvatore?) di Rizzoli; dopo tutto questo, arriva il giorno in cui «chi ha i soldi ha vinto», come ripeteva Enrico Cuccia mentre governava il nostro sistema di capitalisti che non amano investire capitali.

Si apre infatti oggi in Piazza Affari l’asta per i diritti inoptati, cioè per le quote rimaste su piazza dopo il recente aumento di capitale da 400 milioni, che è andato sottoscritto per l’85%. Un 15% che, una volta completate le operazioni di sottoscrizione, varrà poco più del 10% del capitale di Rcs aumentato. Poche decine di milioni di euro, che rendono bene la sensazione dell’inezia se confrontati coi due miliardi sborsati per prendere il controllo di Loro Piana. E tuttavia, un rapido sguardo alla situazione azionaria attuale fa capire il peso, nell’orticello italiano, dell’asta che inizia oggi e che darà responsi entro la fine di luglio. Quel 10% abbondante di capitale finale, infatti, va guardato in controluce degli attuali assetti azionari di Rcs. Dopo l’aumento di capitale e la scomparsa di Giuseppe Rotelli, Fiat detiene più del 20%.

Il secondo azionista è con il 15,1 % è Mediobanca, che ha di recente annunciato un piano industriale – o un auspicio? lo dirà il tempo – che prevede la dismissione delle partecipazioni non strategiche, tra cui Rcs. Poi, con una quota dell’8,8%, viene Diego Della Valle, la sua lunga ascesa nel capitale di Rizzoli e i suoi ripetuti attacchi, sempre più espliciti nei toni ma non ancora abbastanza concreti negli investimenti, a Elkann e al sistema di potere garantito dal presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. La banca milanese-torinese è attraversata da forti scosse interne, culminate nelle recenti dimissioni del direttore generale Giuseppe Castagna: tuttavia nella partita di sistema e di potere rappresentata dal Corriere, l’ottantenne Bazoli gioca ancora una volta il proprio ruolo di regista.

È stata Intesa Sanpaolo, infatti, a benedire la presa di Fiat sull’editrice milanese. È sempre Intesa Sanpaolo che di Rcs detiene il 5% e una quota importante del debito – a garantire la collocazione dell’inoptato attraverso la sua Banca Imi. Per il resto, nell’azionariato di Rcs, si aggira qualche residuo del passato, come la quota della Fonsai che fu il perno dell’ex impero di Salvatore Ligresti oggi finito nel perimetro di Unipol, una Pirelli tardivamente rifocalizzata sul core business dei pneumatici, o quelle Generali che, nelle mani di un manager italiano solo per natàli come Mario Greco, lavorano con costanza per stare sui mercati che contano con la forza dei loro prodotti assicurativi. Poi piccole quote sindacate, lunghe eredità dell’era di Enrico Cuccia e di quella, ancora in corso, di Giovanni Bazoli, in una società che è quotata e teoricamente aperta al pubblico risparmio, ma di fatto è saturata da patti e quote bloccate e sembra fotografare alla perfezioni gli incesti del piccolo capitalismo italiano.

A dare uno sguardo ai conti della ditta, del resto, le intenzioni di chi se la litiga devono essere concrete per forza, dato il contesto buio dell’editoria tradizionale mondiale. Gli ultimi dati Rcs, datati 31 marzo, parlano da soli: l’Ebidta trimestrale, anche epurato di oneri non ricorrenti, segna un passivo di 39,5 milioni, in netto peggioramento rispetto a un anno prima; i ricavi – colpa del crollo della pubblicità e del calo delle vendite – scendono di oltre 100 milioni a 305 milioni, e perfino i quotidiani – il comparto del Corriere – che l’anno scorso ancora reggeva si trova con un passivo, seppur minimo, di 1,5 milioni. Contesto di settore e dati aziendali non lasciano scampo: chiunque si prenda Rcs deve avere idee buone, soldi e coraggio, per una transizione che porti un grande gruppo editoriale (e un grande quotidiano italiano) nel futuro.

Non c’è “solo” la questione, vitale, dell’indipendenza ma anche quella, esiziale, della sopravvivenza di un gruppo. Sul tema piacerebbe, prima o poi, conoscere le diverse visioni dei contendenti in campo, di cui per ora sappiamo solo la reciproca antipatia. Se non possiamo avere “editori puri” – quelli che di mestiere fanno gli editori e con quel mestiere e solo quello fanno soldi – che quelli impuri, almeno, spieghino come pensano di salvare Rcs.