La crisi dei grandi partiti tradizionali di massa non ne ha risparmiato nessuno in Germania e in tutto il resto di Europa. L’Unione cristiano sociale bavarese (Csu) non dovrebbe fare eccezione stando ai sondaggi che la danno in caduta verticale alle elezioni per il parlamento regionale che si svolgono oggi in Baviera. Grande, tradizionale e di massa, la Csu, che dai primi anni Sessanta governa incontrastata a Monaco, lo è per eccellenza. E, bisogna aggiungere, con successo. Ma senza mai riuscire davvero a varcare i confini del Libero stato di Baviera e superare la dipendenza dalla Cdu, il partito democristiano che rappresenta il resto della Repubblica federale, sul piano della politica nazionale. Quando Franz Joseph Strauss provò a lanciare la Csu fuori dai confini bavaresi nel 1976 fu un fallimento.

Così, potente quanto un “partito unico” in Baviera, la Csu ha dovuto accontentarsi di pesare sul piano nazionale incalzando (o minacciando) il partito alleato a partire dalle sue posizioni tradizionaliste e conservatrici.

Ma guardando soprattutto al mantenimento del consenso interno e del suo sistema di potere nell’antico regno cattolico. Un po’ come accade in Europa, dove i governi nazionali condizionano (e paralizzano) a partire dai propri interessi particolari le politiche comunitarie.

Con la politica di apertura ai migranti di Angela Merkel, la Csu aveva issato la bandiera della chiusura, muovendo chiassosamente verso una gestione autonoma dei confini e della “sicurezza”: la frontiera del Libero stato non doveva più essere una qualunque frontiera della Bundesrepublik, la polizia bavarese si attribuiva compiti che andavano a cozzare con quella federale. La controversia costituzionale su questo tema è ancora in corso. Horst Seehofer, già governatore bavarese, oggi ministro dell’interno nella Grande coalizione, alzava la voce a Berlino, minacciava crisi di governo. Eppure il declino della Csu non accennava a diminuire. Come mai? Perché la questione dei migranti, in un Land con bassissima disoccupazione, alto reddito pro capite, grande estensione territoriale e poca concentrazione metropolitana, non sembra essere stata la principale preoccupazione dei cittadini bavaresi. Non bastava neanche il sanfedismo tradizionalista, pur largamente presente soprattutto in bassa Baviera, a eccitare gli animi contro una presunta “invasione islamica”.

I sondaggi non annunciano, infatti, la temuta forte espansione di Alternative fuer Deutschland, che comunque irromperà con un buon numero di deputati nel parlamento del Land. In Baviera l’offerta conservatrice è abbondante, la concorrenza agguerrita. Comprende, oltre alla Csu, i Freie Waehler (Liberi elettori) formazione conservatrice in netta ascesa, quasi impercettibile fuori dal Land, ma più ecologica e rurale del partito di Seehofer e Soeder.

È proprio quest’ultimo, invece, a costituire il vero problema con il suo interminabile monopolio del potere, le sue lotte intestine e un modello di sviluppo ad alta intensità di capitale che, soprattutto, divora territorio, e finisce con l’alterare quegli stessi equilibri tradizionali che la Csu ideologicamente fa mostra di difendere. È verso questo partito-padrone e il suo incontrastato arbitrio che la crescente insofferenza dei bavaresi sembra rivolgersi, e non guardando prevalentemente a destra. Da questa crisi sembrano essere infatti i Verdi, stando al successo che i sondaggi attribuiscono loro, a trarre il maggiore vantaggio, posizionandosi come forte ago della bilancia. Lo schema che vuole essere la rincorsa della destra più xenofoba e radicale la via obbligata per il mantenimento del consenso potrebbe finalmente rompersi. Certo è che Seehofer ha sbagliato i suoi conti, puntando su un umore dell’elettorato più immaginato che reale. Proprio dalla Baviera, allora, può arrivare un messaggio contrario ai timori che hanno fin qui alimentato l’involuzione della politica tedesca. Da una regione nella quale la sinistra è del tutto fuori gioco, con la Spd adagiata in una eterna condizione di marginalità e di sconfitta e la Linke che fatica a emergere in un ambiente culturalmente ostile e socialmente sfavorevole.