Quando, a metà pomeriggio, le porte del carcere di Massama si chiudono alle spalle del lungo corteo di auto blindate che a sirene spianate hanno scortato l’ex terrorista Cesare Battisti dall’aeroporto di Oristano fino alla casa circondariale “Salvatore Soro” dove sono rinchiusi prevalentemente detenuti in regime di alta sicurezza, i riflettori si possono anche spegnere.

Salvini e Bonafede sulla pista di atterraggio di Ciampino in attesa del rientro di Battisti Foto LaPresse

L’evento clou della giornata si era già consumato qualche ora prima, quando all’aeroporto di Ciampino era atterrato l’aereo proveniente da Santa Cruz, in Bolivia, dove il super ricercato è stato arrestato sabato scorso dagli uomini dell’Interpol. A bordo pista, sotto la vigilanza dei cecchini e in compagnia di un folto gruppo di agenti, ad attendere il pluriomicida, riportato in Italia dopo quasi 38 anni (fuggì in Francia nel 1981, dopo essere evaso dal carcere di Frosinone), c’erano il ministro dell’Interno leghista Matteo Salvini e il Guardasigilli pentastellato Alfonso Bonafede.

L’EX TERRORISTA AFFILIATO negli anni ’70 ai Proletari armati per il comunismo ha avuto dunque l’onore di un alta rappresentanza governativa che è mancata invece solo qualche settimana fa, come hanno fatto notare diversi rappresentanti dell’opposizione, alla salma del giornalista Antonio Megalizzi, vittima dell’attentato terroristico di Strasburgo. Ma tant’è: il governo giallo-bruno può rivendicare ora di aver ottenuto giustizia per le quattro vittime (il maresciallo Antonio Santoro e l’agente Andrea Campagna, trucidati nel 1978, il gioielliere Pierluigi Torregiani e il macellaio Lino Sabbadin uccisi nel 1979) di Cesare Battisti, divenuto durante la sua latitanza prima in Francia e poi in Brasile anche un celebre scrittore.

Ora possono tirare un piccolo sospiro di sollievo i parenti delle vittime che ieri hanno reagito in modi differenti: «Io non perdono nessuno e i buonisti a tutti i costi dovrebbero cucirsi la bocca», ha commentato Adriano Sabbadin, figlio di Lino. Mentre il figlio di Pierluigi Torregiani, Alberto, che pure in passato è stato candidato nelle liste di Fratelli d’Italia (che ieri hanno inscenato un sit in davanti al consolato brasiliano per «ringraziare» Bolsonaro), ha esortato: «Non trasformiamolo in un orco. Ho sentito che qualcuno si è lamentato che non scendesse dall’aereo in manette. Vogliamo mettergli anche le catene ai piedi? Mi aspetto che venga trattato con tutti i diritti e il rispetto che deve avere un detenuto».

BATTISTI, ORMAI QUASI 65ENNE, che per questi delitti ha espiato solo quattro anni nel carcere di Brasilia (e pochi mesi in Italia), dovrà ora scontare l’ergastolo (non ostativo) e sarà sottoposto a isolamento, anche diurno, per i prossimi sei mesi – come tutti i condannati alla stessa pena – nella sezione As2, il circuito di massima sicurezza riservata ai terroristi. A permettere l’applicazione della massima pena possibile in Italia è stato il fatto che l’estradizione non è avvenuta dal Brasile (Paese che non prevede l’ergastolo) ma dalla Bolivia, e non verso l’Italia ma verso il Paese guidato da Jair Bolsonaro. Che ieri è stato ringraziato pure da Salvini con una «lunga, cordiale e costruttiva» telefonata nella quale i due leader dell’estrema destra si sono impegnati ad incontrarsi «presto» e a «rinsaldare i legami tra i nostri popoli, i nostri governi e la nostra amicizia personale», come ha riferito lo stesso vicepremier durante la conferenza stampa indetta a Palazzo Chigi subito dopo aver “accolto” Battisti a Roma.

Eppure il merito dell’arresto del criminale usato come trofeo andrebbe almeno in parte riconosciuto anche al presidente boliviano Evo Morales, il cui ministro dell’Interno Carlos Romero ha dichiarato ieri di aver consegnato Battisti alle autorità italiane dopo che, il 26 dicembre scorso, la richiesta di asilo politico avanzata qualche giorno prima dall’ex terrorista italiano era stata respinta.

Una volta arrestato, ha riferito il premier Giuseppe Conte durante la conferenza stampa con Salvini, il governo italiano ha discusso le fasi del rientro di Battisti a Roma con lo stesso Bolsonaro: «Abbiamo valutato la possibilità che potesse transitare da Brasilia, e le difficoltà di questo passaggio», ma è stato dirimente «l’aspetto per cui l’Italia non ha un vincolo come il Brasile nel limite della pena».

Riferiscono le cronache italiane che durante il volo da Santa Cruz, Cesare Battisti, che al momento dell’arresto non ha opposto alcuna resistenza, ha mostrato documenti con il suo vero nome, non era armato, non era camuffato e in tasca aveva solo qualche spicciolo, avrebbe dormito un sonno tranquillo. «Ora so che andrò in prigione», avrebbe detto ai funzionari dell’Antiterrorismo che lo hanno accolto a Ciampino, ringraziandoli per il trattamento che gli era stato riservato e per i vestiti più pesanti che aveva ricevuto durante il volo.

Le cronache boliviane invece parlano di un accorato pianto a cui si sarebbe lasciato andare l’ex terrorista aspettando l’aereo che lo riportava in patria. Ora, riferisce Salvini, «stiamo lavorando su altre decine di terroristi: su alcuni abbiamo già riscontri positivi». Concetto ribadito via Facebook dal ministro Di Maio che ricorda i tanti terroristi «rossi e neri ancora a piede libero. Non finisce con Battisti – scrive il vice premier grillino – Questi signori devono sentire la pressione dell’Italia che finora ha accettato la qualunque».

LINGUAGGIO QUALUNQUISTA anche dal leader leghista che polemizza con «qualche ex primo ministro frustrato»: «Non si può dire che Battisti era comunista? Allora diciamo che è un pacifista». Dal canto suo l’ex premier Paolo Gentiloni, intervistato da Un giorno da Pecora, su Rai Radio1, ricorda che l’ex criminale comune entrato negli anni ’70 nel Pac, «ha avuto protezioni molto singolari in Francia, con Mitterand e Sarkozy, e poi la protezione esplicita in Brasile, terminata col cambio di governo due anni fa. Già quando ero Ministro degli Esteri si iniziava a pensare alla possibilità che questa situazione si sarebbe potuta sbloccare».

Intanto il pm Alberto Nobili, responsabile dell’antiterrorismo della procura di Milano ha aperto un’inchiesta «esplorativa», senza ipotesi di reato né indagati, sulla rete di protezione di cui avrebbe usufruito Battisti anche in Italia, come risulterebbe da una serie di telefonate agganciate da una cellula boliviana durante l’ultima latitanza, quella cominciata il 14 dicembre scorso quando l’allora presidente brasiliano Temer firmò il decreto di estradizione verso l’Italia.