Impossibile trovare un altro testimonial di tale prestigio. Era il 1961, quando appena undicenne fu introdotto negli studi di Detroit da Berry Gordy, fondatore di quella celebre casa discografica. Da allora Stevie Wonder è stata la voce della Motown per antonomasia, più di Marvin Gaye e Diana Ross, più dei Jackson Five e degli Isley Brothers. Detroit, la città dei motori, motor town. Da lì quel nome sincratico, che avrebbe battezzato non solo un’etichetta ma un intero paesaggio sonoro. Sessant’anni di storia e di evoluzione della black music, dal rhythm and blues all’hip hop. Lungo i solchi di vinile marchiati Motown, ricette segrete di arte e artigianato musicale. Come diavolo fanno — si chiedevano i produttori europei — a ottenere quel groove e quella corposità? E come diavolo fanno — si scervellavano i tecnici del suono — ad avere quei bassi così potenti senza far saltare la testina dal disco?

ALTRI TEMPI, si dirà. Oggi il mercato discografico segue nuove regole e nuovi nomi. Eppure fa notizia un simile divorzio, per quanto consensuale. Dopo oltre quaranta album in studio prodotti dalla storica label, Stevie Wonder si mette in proprio, varando la sua etichetta personale, So What The Fuss Music, costola della multinazionale Universal. Lo fa con un doppio singolo, scelta inedita nella sua lunga carriera. Can’t Put It In The Hands Of Fate vede al suo fianco i rapper Rapsody, Cordae, Chika e Busta Rhymes. Nata come canzone d’amore, si è rivestita di significati sempre più politici e collettivi in virtù dei drammatici temi di quest’anno, dalla pandemia all’odio razziale. «Il cambiamento è adesso», dice Stevie. «Non possiamo affidarlo alle mani del destino. Non possiamo affidarci al destino neanche per trovare una cura a questo terribile virus».
Altrettanto socialmente impegnata è Where Is Our Love Song — con un altro featuring, quello di Gerry Clark Jr. alla chitarra — il cui ricavato verrà devoluto all’associazione non profit Feeding America. Un brano che Wonder, dopo averne iniziato la scrittura a diciotto anni, ha completato in questi ultimi mesi.

UNA DOPPIA uscita per interrompere un silenzio che durava da quattro anni — ma l’album precedente, A Time To Love, risale addirittura al 2005. Il settantenne Stevie, adesso intende ripartire anche musicalmente. All’orizzonte si intravedono un Ep e un nuovo album, che dovrebbe intitolarsi Through The Eyes Of Wonder. La voce è quella di sempre, così come lo spirito. «Voglio che tutti stiano bene», ha detto nella recente conferenza stampa in streaming. «Non mi interessa di che colore sei perché in realtà non vedo il tuo colore. Non vedo il tuo colore ’visibile”’ ma sento la tua anima, sento il tuo spirito. E vedo troppi spiriti e anime privi dell’amore che dovremmo avere e provare l’uno per l’altro».