La crisi dell’economia italiana e dell’industria, quella del setteore auto e della Fiat. Le vertenze aperte con il gruppo guidato da Sergio Marchionne, dalla stessa Fiat alla Cnh e all’Iveco. «Lavoro e democrazia per produrre»: con questo slogan la Fiom scende oggi in piazza, con uno sciopero e una manifestazione nazionale a Roma (a Piazza Repubblica, ore 9). I metalmeccanici Cgil guidati da Maurizio Landini chiedono un intervento del governo, un tavolo per una vera politica industriale, per contrastare «le scelte del gruppo Fiat, delle aziende dei veicoli commerciali, dei camion, degli autobus, del movimento terra, del motociclo, che stanno cancellando l’intera filiera dell’indotto, dalla componentistica ai servizi». Non passa giorno, infatti, in cui non vengano aperte procedure di ammortizzatori sociali o di chiusure di interi stabilimenti.
Una vera emergenza, insomma, confermata d’altronde anche dei numeri. La produzione di veicoli, dal 2007 al 2012, in Italia ha registrato cifre da paura: -56% nell’auto, -25% i veicoli commerciali, -35% per gli autocarri, -66% per gli autobus e –60% per rimorchi e semirimorchi. Le grandi multinazionali della componentistica che lavorano peril gruppo Fiat (auto e industrial) non investono negli stabilimenti italiani perché non c’è un piano industriale che garantisca i volumi produttivi nel prossimo futuro, e col passare del tempo avviano quindi le procedure per chiudere definitivamente le produzioni.
La componentistica italiana che produce per la Fiat subisce le scelte del gruppo, ma a mantenere alti i fatturati, 42 miliardi di euro nel 2012, è la produzione per altri marchi, in particolare quelli tedeschi. Alla «crisi» italiana, si somma poi la frenata avvertita negli Usa e nei paesi europei che avevano garantito l’export. E non basta, perché in nome della «competitività» si firmano accordi separati (senza la stessa Fiom), sostanzialmente al ribasso: deroghe a leggi e contratti; riduzione dei minimi; trasformazione del salario fisso in variabile; taglio del trattamento di malattia; più ore di straordinario comandato.
Ecco dunque le richieste Fiom: 1) il governo convochi un tavolo nazionale dell’automotive, con cui si ottenga anche il blocco dei licenziamenti; 2) l’esecutivo rediga e discuta con le parti sociali un piano nazionale dei trasporti pubblici e privati; 3) siano garantiti investimenti sui prodotti innovativi ed ecosostenibili; 4) imprese e sindacati rispettino l’accordo su rappresentanza e democrazia, e il governo faccia una legge; 5) si abolisca l’articolo 8 che permette le deroghe alle leggi e al contratto; 6) il ministero del Lavoro incentivi l’utilizzo dei contratti di solidarietà e della riduzione degli orari.
Lo sciopero è indirizzato anche alla Fiat, a Iveco e Cnh. Innanzitutto perché il Lingotto «continua ad aumentare le ore di cig e insieme i ritmi produttivi». Il governo, quindi, convochi la Fiat a un tavolo: in cui si discuta un piano di sviluppo per il futuro. D’altronde, a 3 anni dal «Piano Fabbrica Italia», che avrebbe dovuto portare le produzioni da 700 mila a 1,4 milioni di veicoli l’anno, in Italia la Fiat oggi produce meno di 400 mila auto.
«Marchionne– accusa la Fiom – d’accordo con Fim, Uilm, Uglm e Fismic, sta facendo pagare ai lavoratori il costo dell’acquisizione delle azioni Chrysler dal Fondo Veba: non pagando i primi giorni di malattia, rendendo il premio variabile, cancellando l’integrazione salariale a chi è in cassa, aumentando del 20%o 30% ritmi e cadenze mentre gli altri operai sono in cig». Ancora, «la Fiat rispetti le sentenze dei tribunali del lavoro», e riaccolga tutti i lavoratori – anche quelli iscritti alla Fiom – nelle produzioni.
Infine, Iveco e Cnh: spostano «testa» e produzioni all’estero. Con scandali come quello di Irisbus, fabbrica che poteva vivere tranquillamente di commesse e invece è chiusa. Anche su questo, il governo batta un colpo.