Circa 4mila manifestanti (mille secondo la Bbc) di Pravyj sektor e dei battaglioni neonazisti Azov e Ajdar, sono tornati in piazza a Kiev nei giorni scorsi per l’annuale “Marcia del principe Svjatoslav”, chiedendo la «nazionalizzazione delle imprese russe, la rottura delle relazioni diplomatiche con Mosca e l’offensiva nel Donbass». Nonostante il «carattere pacifico, di ammonimento» attribuito alla manifestazione, i partecipanti hanno detto che non sopporteranno ulteriormente il cessate il fuoco e chiesto che il governo rinunci agli accordi di pace e passi all’attacco degli invasori russi.

Porošenko non ha certo bisogno degli incoraggiamenti dell’estrema destra per battere il tasto dell’invasione russa. Se a maggio aveva parlato di 11mila uomini e poi, a giugno, li aveva ridotti a 9mila e quindi, pochissimi giorni fa, di nuovo giostrati a 50mila, ecco che a inizio settimana in un’intervista al Corsera aveva moltiplicato eucaristicamente a 200mila i soldati russi nel Donbass. Compassionevolmente, la russa Rt si limitava a notare che né Osce, né Dipartimento di Stato Usa hanno notato una tale armada russa in Ucraina.

Ma venerdì, per l’anniversario dell’occupazione ucraina di Slavjansk e Kramatorsk, Porošenko è stato categorico: «Senza alcun dubbio, noi siamo per la pace. Ma non per la pace a qualsiasi prezzo. Noi non lasceremo nemmeno una zolla di terra ucraina». E con retorica da avanspettacolo «la libertà batte nel cuore del popolo ucraino come nel popolo americano. “Vivete liberi, oppure morite” era il proclama della rivoluzione americana, che oggi è lo spirito dei soldati ucraini contro l’aggressione russa», ha scritto su Facebook.

C’è di che commuoversi, soprattutto leggendo che mentre la Repubblica di Donetsk annuncia la creazione di una zona demilitarizzata profonda 5 km e una zona di sicurezza di 30 km a Širokino, est di Mariupol, i fautori della “pace senza alcun dubbio” di Kiev intendono prendere il controllo dello stesso Širokino. Su Interfax, le parole ieri del consigliere del Ministro degli interni ucraino, Škirjak, secondo cui l’uscita delle milizie dal villaggio non sarebbe che una mossa tattica temporanea e il passo di Kiev si rende quindi obbligato. Altrettanto obbligato come bersagliare con i mortai villaggi nella Repubblica di Lugansk o il bombardamento con artiglierie pesanti di Sakhanka, più a est di Širokino, o il dispiegamento di mezzi e truppe verso il nord di Lugansk.

Qui l’intelligence militare della Novorossija ha intercettato conversazioni telefoniche di mercenari stranieri: croati, polacchi, lituani, norvegesi, svedesi, danesi e tedeschi. «Qualcuno li paga – ha detto il vice Ministro della difesa di Donetsk, Basurin – e non per prendere il sole, ma per uccidere popolazione pacifica». “Senza alcun dubbio”.