I quarti di finale degli Australian Open hanno confermato che tra i due tornei, quello maschile (Tsitsipas-Nadal e Pouille-Djokovic, le semifinali) e quello femminile, il secondo è più divertente e movimentato del primo. Abbiamo assistito a delle battaglie e ai consueti capovolgimenti di fronte che hanno messo in difficoltà i patiti dei pronostici. Delle quattro semifinaliste solo la giapponese Naomi Osaka può interrompere una serie di otto diverse vincitrici di un torneo dello Slam. La recente trionfatrice di New York, sta dimostrando quella continuità che potrebbe portarla non solo a vincere un altro grande titolo, ma a diventare la nuova numero uno nel ranking mondiale. Con Elina Svitolina, Osaka ha espresso il suo tennis aggressivo con la sicurezza e la calma di chi ha grande consapevolezza della propria forza.

A PROPOSITO del vertice della classifica erano in tante (e continuano a esserlo) a contendersi il primato appena perso da Simona Halep, protagonista di una gran partita con Serena Williams, in un ottavo di finale che dopo venti minuti sembrava l’ennesima lezione di tennis impartita dalla statunitense alle sue avversarie e che, inaspettatamente, si è trasformata in un’autentica battaglia. Una lotta che ha lasciato delle tracce evidenti nelle gambe e nella testa di Williams. Infatti, non ci sarà una rivincita della finale degli US Open. Ad affrontare Osaka in semifinale sarà un’altra aspirante numero uno, Karolina Pliskova.

LA CECA ha giocato un tennis perfetto per un’ora e mezza ed era avviata a chiudere in due set non lasciando scampo a Williams. Ma come tutte le fuoriclasse, proprio sull’orlo del precipizio, la vincitrice di ventitré Slam ritrovava d’un colpo il servizio, la fluidità del dritto e la mobilità. Ribaltato l’esito dell’incontro, con Pliskova già mentalmente sotto la doccia sul 1-5 e match point, accadeva l’impensabile. Un rarissimo fallo di piede levava l’ace della vittoria a Williams che tornava senza protestare a servire per avviare uno scambio che però si aggiudicava la tennista ceca. Poco male, se non fosse che, sbilanciata da un contropiede, Williams si procurava una piccola ma destabilizzante distorsione alla caviglia. Neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo che Pliskova, dopo aver annullato altri tre match point sul 4-5, era davanti al microfono a parlare del 7-5 a suo favore. Questo incontro conferma una volta ancora che il tennis è uno sport diabolico. Conquistato un punto, si torna a battere o a rispondere per farne un altro. Dopo un game lottato, si ricomincia da zero per aggiudicarsene un secondo. Fatto un set, forse non si è giunti nemmeno a un terzo dell’opera. Non esiste il conforto del cronometro, occorre fare quello sporco ultimo punto. E Williams questa volta non l’ha fatto.

L’ALTRA semifinale vedrà di fronte Petra Kvitova (anche lei in odore di primato nel ranking), tornata ai livelli eccelsi che le competono dopo l’accoltellamento che ne stava pregiudicando la carriera, e Danielle Collins, la statunitense che prima di questo torneo, non aveva mai passato il primo turno in uno Slam. La venticinquenne non è stata favorita dal tabellone, ha vinto delle partite complesse con atlete di alta classifica. Una storia incredibile per una donna che ha dovuto per necessità rimandare il suo ingresso tra le professioniste e che ora è libera di sognare quello che pochi mesi fa sembrava impensabile. Se il tennis non è uno sport diabolico…