Era il 1963 quando Frank Herbert cominciò a pubblicare su Analog il primo libro della saga dedicata a Dune, poi divenuto romanzo in coppia con il sequel nel 1965, mentre altri sono seguiti poi, anche a firma del figlio Brian dopo la morte di Frank. Il primo che volle cimentarsi con la saga (salutata da un successo editoriale travolgente) fu Alejandro Jodorowsky, che coinvolse nel suo progetto moltissimi artisti di vari campi. Ma nessuno se la sentì di produrre un film di tale portata affidandosi al creativo ma stravagante regista messicano che ha poi raccontato in un documentario quella storia di film incompiuto.

DI QUEL LAVORO rimane anche un fumetto realizzato con Moebius nel ciclo l’Incal. Non tutto però andò buttato via, sia per Alien che per Blade Runner e per il Dune di David Lynch del 1984 (già talentuosissimo ma ancora alle prime armi) vennero rispolverate moltissime idee e soluzioni dal fantascientifico progetto incompiuto. All’epoca ci fu grande attesa per quella versione che prometteva moltissimo, ma aveva anche preteso molto produttivamente preoccupando non poco e a ragione Dino De Laurentiis. La delusione, economica, fu piuttosto forte, anche se con l’homevideo il film ha continuato a macinare come fenomeno cult.

Ora ci riprova Denis Villeneuve, armato di una tecnologia inimmaginabile alcuni decenni fa. La storia è sempre la stessa. Siamo intorno all’anno 10mila, il pianeta Arrakis è un immenso deserto, si sarebbe potuto bonificare, ma solo lì si trova una spezia-droga, unica in grado di consentire ai piloti i voli nell’universo.

E l’imperatore intimorito dalla potenza e dalla ricchezza della casata Harkonnen, che controlla il traffico, decide di soppiantarli con la vigorosa casata Atreides, sapendo che un eventuale conflitto indebolirebbe entrambi. Aggiungete un pizzico di esoterismo, di strumenti futuribili, di vermoni giganti che si muovono sotto sabbia, una profezia messianica e avrete già il quadro di tutto quello che anima un racconto di oltre due ore e mezza, in attesa dell’annunciato sequel.

Quel che invece non si può immaginare è l’impatto visivo del film, capace di saccheggiare (o se volete di ispirarsi) a molte pellicole, fantascientifiche e non, nel costruire le scene. Si può ritrovare L’ultimo imperatore quando la delegazione imperiale scende dall’astronave accolta dagli Atreides, le tute dei soldati rievocano quelle di Guerre stellari, alcuni aggeggi sembrano usciti dalla mente di Q, l’ingegnere di 007. Tutto lecito, per un lavoro che avrebbe dovuto puntare molto sull’Imax («è stato sognato, disegnato e girato per questo» dice il regista) e in seconda battuta sulle sale cinematografiche rimasto però imbrigliato dalla pandemia. Infatti Villeneuve in conferenza stampa ha voluto sottolineare come questi «siano tempi difficili, per tutti. Prima la sicurezza, ma se il pubblico si dovesse sentire tranquillo io lo incoraggerei a vedere il film su grande schermo».

IN EFFETTI, aldilà dei timori professionali, si tratta di un lavoro che non può essere inscatolato, neppure su un televisore gigante, bisogna farsi avvolgere e farselo scorrere addosso, guardarlo con gli occhi, sentirlo sulla pelle, avvertirne le vibrazioni altrimenti il rischio è quello di rimanere totalmente indifferenti rispetto all’ennesima storia fantascientifica, un po’ fracassona. Eppure, mentre in Italia uscirà il 16 settembre in sala, negli Stati uniti verrà proiettato solo il 22 ottobre ma in contemporanea con lo streaming Hbo Max.

Naturalmente in un film di questa portata il cast è stellare, a cominciare dal cameo di Charlotte Rampling (quasi irriconoscibile e velata nella parte che fu di Silvana Mangano). Ma i protagonisti sono altri, Timothée Chalamet ormai lanciatissimo nell’olimpo hollywoodiano, sua mamma Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, poi Zendaya e la spiazzante apparizione di Javier Bardem entrambi in versione occhio blu, come tutti i Fremen, i nativi di Arrakis.