La situazione riguardo all’avanzata jihadista dello Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) nel nord-est del Mali è tale che il generale El Hadj Ag Gamou – figura di spicco del Movimento per la Salute dell’Azawad (Msa), formato da tuareg – ha dichiarato questo venerdì all’Afp che «non ci sono forze armate o entità comunitarie in grado di garantire la sicurezza di queste aree», invitando la popolazione ad «abbandonare il nord verso luoghi più sicuri».

SONO ALMENO 10MILA gli sfollati di Talataye, cittadina nel nord-est del Mali, arrivati in questi giorni a Gao o Kidal, città sotto il controllo del Msa, dopo che la scorsa settimana l’Eigs ha attaccato questa località causando 42 vittime, tra cui diverse donne e bambini.

Lo Stato Islamico è all’offensiva da questo marzo nel nord-est del Mali e la Minusma (missione delle Nazioni unite in Mali) stima che abbia preso il controllo di tre settori su quattro nella regione di Ménaka, mentre Talataye era ancora nelle mani del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), gruppo jihadista rivale, legato ad Al-Qaeda.

LA BATTAGLIA HA VISTO contrapposti i miliziani dello Stato Islamico e quelli qaedisti del Gsim, insieme ai Tuareg del Msa, evidenziando la totale assenza dei militari e del governo di Bamako. In tutto il nord del paese la popolazione locale è vittima sia di attacchi di matrice jihadista, nella lotta per la supremazia nell’area, che di violente rappresaglie da parte dei militari.

Gli attacchi di questi giorni preoccupano gli osservatori internazionali perché confermano le difficoltà di Bamako nel contrastare la minaccia jihadista nel paese, con attentati subiti anche nelle aree limitrofe alla capitale. Problematiche che, in questi mesi, si sono aggravate a causa del ritiro delle forze francesi della missione Barkhane – chiusa a metà agosto – e all’impasse operativa che coinvolge i caschi blu della Minusma, dopo la crisi diplomatica con il governo maliano di questi mesi.

Risultati deficitari si sino avuti anche dopo che il governo maliano ha ingaggiato i mercenari russi della compagnia Wagner (ufficialmente etichettati come addestratori militari), visto che le uccisioni sommarie di civili di questi mesi, denunciate dall’Onu e da Human Rights Watch, spingono la popolazione ad arruolarsi nei gruppi jihadisti.

IL «TERRORISMO NEL SAHEL» è stato anche al centro del dibattito che si è svolto all’Assemblea generale delle Nazioni unite a New York giovedì scorso, quando i capi di stato africani hanno richiesto un maggiore impegno della comunità internazionale «nei confronti dei paesi di tutta l’area, duramente colpiti dall’avanzata jihadista».

Una forte preoccupazione sottolineata anche da Macky Sall, presidente del Senegal e a capo dell’Unione africana (Ua), che nel suo intervento all’Assemblea ha posto l’accento sul problema legato al terrorismo come «possibile causa della deflagrazione di paesi come il Mali, il Niger e il Burkina Faso».

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha promesso di trovare nuove soluzioni per intervenire in tutta l’area. «Bisogna agire investendo tutte le risorse necessarie per combattere la violenza di oggi e prevenire quella di domani – ha detto – visto che demografia, degrado climatico, povertà e violenze contro i civili mettono a rischio la stabilità di gran parte dei paesi dell’Africa occidentale».

UN RECENTE REPORT pubblicato da Jihad Analytics, società che monitora il jihad globale, afferma che i movimenti jihadisti africani «continuano ad espandersi nel continente fino al Golfo di Guinea» e che il loro numero sia «esponenzialmente aumentato non per motivi religiosi, ma a causa dell’esclusione sociale, della povertà e degli abusi da parte dei militari».